Negli ultimi mesi il guanto è diventato uno degli accessori più osservati nelle sfilate e nei look condivisi sui social, trasformandosi da semplice protezione dal freddo a vera estensione narrativa del corpo. A colpire è la quantità con cui ricorre in collezioni diversissime tra loro, dal minimalismo di Celine al dramma esasperato di Rick Owens, passando per l’opulenza di Moschino e le strutture futuriste viste da Dilara Findikoglu. È un oggetto che torna ciclicamente nella moda, ma nel 2025–2026 assume un valore diverso perché non si limita a coprire la mano: la modifica. La rende meno umana, più simbolica, più costruita. E soprattutto viene riposizionato come strato autonomo del layering, un ruolo che lo porta fuori dalla categoria dell’accessorio per entrare in quella del segno estetico.
Come il guanto è diventato un dispositivo estetico che trasforma la silhouette e introduce un simbolismo nuovo nei look contemporanei
Il guanto appare ormai come un’estensione del pensiero dei designer, una specie di micro-protesi che cambia la percezione della figura. Nello show FW25 maschile di Saint Laurent, i guanti di pelle nera sono stati resi visibili da una scelta precisa: i polsini delle camicie venivano srotolati sopra la manica della giacca, creando quel gesto “stropicciato” che spezza la rigidità dei completi formali. È una micro-interruzione visiva che rende tutto più vivo, e che diventa un codice ripetuto anche nella sfilata femminile, dove il guanto assume una linea più svasata e nostalgica, quasi anni Cinquanta. In questo cambio evidente si legge un passaggio di intenzione: il guanto come dettaglio non nascosto ma esibito, quasi un segnale.
Anche online, soprattutto in quei profili che funzionano come archivi di styling contemporaneo, il guanto entra in nuove dinamiche. L’immagine virale del designer Claudio Conde che indossa un guanto intrecciato di Bottega Veneta con sopra un anello d’oro racconta il modo in cui oggi l’accessorio si lega ai gioielli, non come supporto ma come sfondo da enfatizzare. Lo stesso gesto arriva in look strutturati sui social: guanti infilati nella manica e poi bloccati da un bracciale rigido, oppure utilizzati per creare un contrasto tra materiali, come pelle liscia sotto un tweed soffice. La mano diventa così un punto focale del look, uno spazio dove la moda sperimenta minimalismo e fetish insieme, perché il gesto di nascondere le dita porta con sé un implicito gioco di distanza, eleganza e controllo.

Le passerelle FW25 e SS26 mostrano questa ossessione in ogni declinazione. Da Celine e Anrealage compaiono guanti a palmo aperto, silhouette che lasciano la pelle visibile e lavorano su un’idea di sensualità frammentata. Da Rick Owens, Mugler, Gucci e Ferrari torna il guanto classico, essenziale, quasi una dichiarazione di rigore. Poi ci sono gli scarti imprevisti: i guanti da guida colorati e tecnici visti da Kidsuper e Dunhill, metafora di un’estetica maschile che tenta di uscire dalla monocromia mantenendo però un rapporto funzionale con l’oggetto. In tutti questi casi il guanto agisce come linguaggio, non come protezione, e diventa uno dei dispositivi più sorprendenti per creare tensione tra corpo e abito.
La metamorfosi del guanto da opera e il suo potere iconico nell’epoca degli schermi digitali
Il guanto da opera domina più di qualsiasi altra variante e la sua presenza si espande in collezioni che, fino a poco tempo fa, lo consideravano un accessorio rarefatto. La grande interprete di questo ritorno è come sempre Miuccia Prada, che tra Prada e Miu Miu ha trasformato i guanti iper-lunghi in un elemento strutturale degli outfit. Nella SS26 il guanto compare ovunque: in pelle, in seta, in tessuti tecnici sottili, fino a diventare estensione del vestito o motivo di contrasto tra pelle coperta e pelle scoperta. È un linguaggio che Prada maneggia da anni e che ora trova nuova vita in collezioni come quelle di Balenciaga sotto Pierpaolo Piccioli, dove i guanti alti fino alle spalle sfumano nella silhouette del vestito, come se fossero stati pensati insieme fin dall’inizio.
La versione più eterea arriva da designer come Simone Rocha o Luar, che scelgono materiali trasparenti, garze delicate e pizzi che trasformano la mano in una superficie decorata, quasi un elemento narrativo. In altri casi il guanto da opera ha una funzione opposta: isola zone precise del corpo, come la parte alta del braccio o la curva della spalla, e genera un punto di sensualità misurata in look che, per il resto, rimangono completamente coperti. In passerella questa tensione viene utilizzata per costruire equilibrio tra austerità e trasgressione, tra tradizione e futurismo, tra eleganza e fetish.
Il problema che molti sollevano riguarda però la frizione tra estetica e tecnologia. Nel 2025 nessuno può permettersi un accessorio che impedisca l’uso dello smartphone, e la maggior parte delle persone cerca guanti dotati di superfici compatibili con i touchscreen. Designer e consumatori vivono così una contraddizione evidente: l’oggetto che simboleggia distanza ed eleganza deve adattarsi a una quotidianità fatta di messaggi, scatti, notifiche e gesture digitali. È una tensione irrisolta che racconta bene il punto in cui si trova la moda oggi, sospesa tra il desiderio di estetica pura e la dipendenza dalla tecnologia. Finché non arriverà una soluzione tecnica davvero efficace, il guanto resta un simbolo che oscilla tra fantasia e praticità, tra teatralità e vita reale.






