Dormire con l’idea di una Edimburgo avvolta nella nebbia e ritrovarsi invece sotto un cielo chiaro può spiazzare, soprattutto quando si arriva con in tasca Frankenstein, l’immaginazione piena di ombre e quella voglia un po’ inquieta di cercare la parte più oscura della città. La capitale scozzese non si concede subito e non rinuncia mai alla sua doppia anima, quella luminosa delle piazze e quella che resta nascosta nei vicoli stretti dell’Old Town, nelle storie di medicina ottocentesca, nei roghi per stregoneria e persino nei sotterranei dove il tempo sembra non essere mai passato. È il motivo per cui un viaggio qui, soprattutto vicino ad Halloween, diventa una specie di attraversamento tra realtà e immaginazione.
Edimburgo tra scienza, roghi e strade che conservano il passato più oscuro
Quando il treno entra nella stazione di Waverley, la città sembra quasi più morbida del previsto, illuminata da un sole di fine ottobre che non avevo immaginato. Avevo con me Edinburgh City of the Dead di Jan-Andrew Henderson, pronta a cercare la Edimburgo gotica evocata dai romanzi e dalle storie che l’hanno resa un’icona letteraria. Nel testo originale di Mary Shelley, la città compare appena, ma l’autrice era stata qui quando seguiva gli studi di medicina all’avanguardia del Royal College of Surgeons, lo stesso frequentato da Arthur Conan Doyle. Si dice che proprio un professore incontrato qui, il dottor Joseph Bell, abbia ispirato Sherlock Holmes, con quel modo analitico di osservare ogni dettaglio.
Entrare al Surgeons’ Hall Museums è come attraversare la porta di un tempio della scienza che conserva ancora il suo lato più inquietante. Le prime sale parlano della storia della chirurgia, mentre ai piani superiori riposano resti umani conservati con cloroformio e strumenti che mostrano le operazioni di un’epoca in cui la medicina era qualcosa di molto diverso da oggi. È un luogo che scuote lo stomaco e affascina allo stesso tempo, perché mette insieme l’ingegno e la crudeltà con cui l’uomo ha studiato il corpo.
Quando esco, ho bisogno di aria. Cammino sulla Royal Mile, dove i suonatori di cornamusa convivono con i negozi di souvenir e con un passato che affiora dappertutto. Qui si trova il Mercat Cross, che non era un mercato ma un luogo di esecuzioni. E tra il XVI e il XVIII secolo in Scozia vennero condannate tra le tremila e le quattromila persone accusate di stregoneria, molte delle quali proprio a Edimburgo, sull’esplanade del Castello. Alla Witches’ Well, una fontana in ghisa dedicata alle vittime dei processi, decido di fermarmi. Attorno a me i turisti scattano foto con il castello sullo sfondo ignorando che questo luogo ha visto sofferenze indicibili.
Proseguo verso i Princes Street Gardens, oggi pieni di famiglie e studenti sdraiati sull’erba, ma un tempo occupati dal Nor Loch, un lago artificiale maleodorante usato come discarica di rifiuti e teatro di torture. Qui venivano “testate” le presunte streghe dai Witch Prickers, uomini che infilzavano la pelle delle accusate con un ago alla ricerca del presunto Marchio del Diavolo. Se non sanguinavano, la colpa veniva considerata provata. Conoscere queste storie fa capire perché Edimburgo sembri sempre vivere su due piani: quello della superficie e quello della memoria.
La città sotterranea, i vicoli chiusi e il legame con la letteratura dell’orrore
Molti pensano a Edimburgo come una città tutta in salita, castelli, pub e facciate in pietra, ma esiste una seconda capitale nascosta sotto la prima. Partecipare a un tour dei sotterranei significa attraversare la pelle nascosta della città. Scelgo il Doomed, Dead, Buried Tour della Mercat Tours, che permette di camminare sotto le arcate del South Bridge, costruito nel 1788 con le sue 120 camere pensate per attività commerciali e che divennero, nel tempo, un labirinto umido e quasi dimenticato. Scendo due rampe di scale e la luce delle candele, insieme alla voce della guida, trasforma l’aria in qualcosa di sospeso, con un’atmosfera talmente densa che sembra quasi di tornare nel Seicento.
Il tour attraversa anche il cimitero di Canongate, dove si incontrano storie come quella di Ebenezer Lennox Scroggie, il mercante che Dickens interpretò male leggendo sulla lapide “meal man” come “mean man” e che, grazie a quell’errore, ispirò il personaggio di Ebenezer Scrooge. La lapide oggi non esiste più, ma la storia resta uno dei dettagli più affascinanti di questa città che sembra rimescolare continuamente la sua identità.
Dopo tanto buio serve un ritorno alla realtà. Edimburgo però, anche quando si alleggerisce, non perde il gusto del racconto. Il Balmoral Hotel, con la torre dell’orologio che segna tre minuti avanti per aiutare i viaggiatori, è un punto fisso dello skyline. Qui J.K. Rowling terminò l’ultimo libro di Harry Potter e qui arrivo per provare il cocktail The Electric Revival, ispirato al ritorno di Frankenstein. Una miscela verde, un bordo di sale nero, una guarnizione di liquirizia e un piccolo occhio di caramella che galleggia come simbolo di vita artificiale. Il sapore è dolce, pungente, quasi teatrale, proprio come la città.
Il giorno dopo entro nel Mary King’s Close, un dedalo sotterraneo dove Edimburgo visse una delle sue epoche più drammatiche. Durante la peste del 1645, le case venivano sigillate con i malati dentro. Camminare attraverso le stanze annerite, come la “plague room”, fa percepire la paura che qui è rimasta incollata alle pareti. La storia di Deacon Brodie, rispettabile di giorno e ladro di notte, ricorda invece la doppia natura che Stevenson trasformò in Jekyll e Hyde.
Quando risalgo all’aria aperta, la città è avvolta da una foschia leggera, quella che avevo cercato fin dall’inizio. I pub accendono le luci, i passi risuonano sul selciato e la sensazione è che Edimburgo non smetta mai di convivere con le sue storie. I fantasmi, reali o immaginati, sembrano semplicemente continuare a camminare insieme a chi la visita.
