La frittura è uno di quei piaceri che mettono d’accordo quasi tutti: croccante, dorata, irresistibile. Ma ogni volta che arriva in tavola, insieme al profumo arrivano anche i sensi di colpa. E così torna la domanda che chi ama supplì, verdure in pastella e patatine si fa da sempre: quanto spesso possiamo concederci il fritto senza mettere in difficoltà la salute? E soprattutto, è vero che “fa male” oppure dipende da come viene preparato?
Per rispondere con dati reali e non con miti, abbiamo ripreso le spiegazioni del dottor Lorenzo Traversetti, biologo nutrizionista, che chiarisce molti luoghi comuni e ridimensiona paure che spesso non hanno fondamento.
Fritto sì o no? Cosa succede davvero nel corpo e quando la frittura diventa un rischio
Secondo il nutrizionista, dire che il fritto “fa male” è un’affermazione troppo semplicistica. Il problema non è la frittura in sé, ma come viene fatta. Se l’olio non è quello giusto, se viene usato in quantità troppo scarse o se lo si porta oltre il punto di fumo, si innescano reazioni come quella di Maillard, che dona il colore bruno ma può anche formare molecole indesiderate come acrilammide e ammine eterocicliche.
Quando però la frittura avviene correttamente – olio giusto, temperatura adeguata, tecnica veloce – può risultare molto meno problematica di quanto si pensi. Addirittura, per alcuni alimenti come le verdure, una frittura rapida può trattenere vitamine e minerali che invece si perderebbero nella bollitura.
Mangiarla troppo spesso, però, ha conseguenze prevedibili: appesantimento digestivo, reflusso, gastrite, colite, accumulo di grasso viscerale e un possibile aumento del rischio cardiovascolare. Non è un tabù assoluto, ma l’eccesso sì che può diventare un problema.
Il metodo conta più del piatto. Friggere con olio di arachidi o olio extravergine d’oliva, che hanno un alto punto di fumo, riduce la formazione di composti nocivi e garantisce quella crosticina veloce che impedisce al cibo di impregnarsi troppo.

Quante volte alla settimana si può mangiare fritto secondo gli esperti – e perché meno è meglio
La frequenza ideale? Secondo Traversetti, più corretta è una misura mensile, non settimanale.
Per un consumo equilibrato:
fritture “classiche” → 1-2 volte al mese
verdure fritte → anche 1 volta alla settimana
soffritto leggero → nessun divieto, se non si eccede
Chi ha disturbi gastrointestinali, patologie infiammatorie o problemi alla colecisti dovrebbe limitarlo ulteriormente, perché la frittura aumenta il carico sul sistema epatobiliare.
E il grande dubbio delle diete? Sì, anche chi è a dieta può mangiare fritto, purché la frequenza sia moderata e la porzione ragionata.
Al ristorante non esiste una vera classifica di “fritti più sani”, ma un abbinamento intelligente può aiutare. Consumare frutta o verdura accanto alla frittura permette di introdurre acqua di vegetazione, antiossidanti e vitamine che rendono più facile il lavoro del fegato e dei reni.
In sintesi: il fritto non è un nemico da evitare sempre, ma un piacere che va gestito con attenzione, buona tecnica di cottura e la giusta distanza tra una porzione e l’altra.






