La conferma del primo caso umano al mondo di influenza aviaria H5N5 negli Stati Uniti ha attirato l’attenzione delle autorità internazionali in poche ore. Il paziente, un anziano con patologie pregresse ricoverato in un ospedale dello Stato di Washington, non è sopravvissuto alle complicazioni causate dal virus. Finora non era mai stata documentata un’infezione umana da H5N5, un ceppo considerato raro e geneticamente instabile. Le agenzie sanitarie americane definiscono “basso” il rischio per la popolazione generale, ma l’episodio ha riportato in primo piano le domande più delicate: il virus potrebbe mutare? Può rappresentare un concreto pericolo globale? E quali sono oggi le conoscenze reali sulla trasmissione?
Da dove arriva l’infezione e quali rischi esistono davvero: la natura zoonotica dell’H5N5 e ciò che preoccupa gli epidemiologi
L’indagine sul contagio parte dalla vita quotidiana del paziente: possedeva un piccolo gruppo di pollame domestico nel cortile di casa, esposto a contatti con uccelli selvatici, uno dei canali più probabili per l’introduzione del virus. Le autorità sanitarie americane, insieme ai centri per il controllo delle malattie, stanno analizzando gli animali presenti nell’area e la possibile interazione con specie migratorie che spesso fungono da serbatoio per i virus aviari. A differenza del più noto H5N1, che negli ultimi anni ha provocato focolai globali con centinaia di casi umani sporadici, il ceppo H5N5 non aveva mai dato segnali di salto di specie verso l’uomo. Questo rende il caso americano allo stesso tempo eccezionale e complesso.
Gli specialisti sottolineano che la trasmissione avviene ancora per contatto diretto con animali infetti, e non tra esseri umani. Il dottor Anirban Chattopadhyay, intervistato da Ndtv, ha spiegato che l’H5N5 è un virus altamente variabile, capace di mutare e riassortirsi, ma non mostra caratteristiche di adattamento alla trasmissione interumana. La sua maggiore criticità è proprio questa variabilità, che impone un monitoraggio continuo. Il collega Niranjan Singh, consulente in Medicina Interna, ha parlato di un virus “preoccupante, ma non motivo di panico”, chiarendo che il rischio resta confinato alla trasmissione zoonotica.
Il contesto generale è quello di un’influenza aviaria che, negli ultimi anni, ha mostrato dinamiche sempre più imprevedibili. Globalmente i focolai negli uccelli stanno aumentando e coinvolgono specie domestiche e selvatiche con una facilità mai osservata in passato. In alcune aree del mondo, i ceppi della famiglia H5 hanno causato mortalità elevate nei mammiferi marini, negli allevamenti avicoli e in fauna selvatica, fenomeni che rendono più complesso il controllo epidemiologico. Anche per questo l’H5N5 viene osservato con particolare attenzione: un virus che oggi non si trasmette tra persone potrebbe acquisire, con il tempo, mutazioni capaci di modificare il quadro.
I sintomi osservati nel caso americano includono febbre alta, confusione e problemi respiratori severi. Non esiste ancora un profilo clinico definitivo, ma l’esperienza maturata con altri virus aviari, come l’H5N1, suggerisce che possano verificarsi forme gravi come la polmonite. Gli esperti ribadiscono che chi vive o lavora a contatto con il pollame, chi ha allevamenti domestici o chi opera in aree colpite da focolai dovrebbe adottare misure di biosicurezza rigorose, un approccio che resta la protezione più efficace. Per la popolazione generale valgono invece le normali precauzioni contro l’influenza, senza necessità di interventi straordinari.
L’attenzione scientifica si concentra ora sulle sequenze genetiche del virus, sull’origine del ceppo e sulla sua circolazione negli uccelli negli ultimi mesi. Solo da queste informazioni sarà possibile capire se l’H5N5 rappresenta un’anomalia isolata o un segnale anticipatore di una possibile evoluzione futura. Al momento, secondo tutte le autorità sanitarie, non esiste alcuna evidenza di rischio pandemico: un dato importante, ma che non esclude la necessità di mantenere alta la sorveglianza epidemiologica.

Può diventare davvero una pandemia? Cosa sappiamo oggi sulla trasmissibilità, sui focolai e sul comportamento dei virus H5 ad alta variabilità
La domanda che ha dominato le prime ore dopo la notizia – potrebbe essere la prossima pandemia? – viene affrontata con prudenza dagli epidemiologi. Oggi la risposta è netta: no, perché il virus non si trasmette tra esseri umani. Le pandemie influenzali richiedono un ceppo capace di diffondersi in modo sostenuto all’interno della popolazione, una caratteristica che l’H5N5 non possiede. Inoltre non sono stati registrati cluster familiari o ospedalieri, né catene di trasmissione che suggeriscano una circolazione silenziosa.
Tuttavia, chi studia i virus dell’influenza aviaria sa che alcuni ceppi della famiglia H5 hanno un’elevata capacità di mutazione e riassortimento. Questo significa che, se un animale ospita contemporaneamente ceppi diversi, possono verificarsi mescolamenti genetici in grado di produrre varianti nuove. L’H5N1, negli ultimi anni, ha già dimostrato questa instabilità colpendo specie animali che in passato erano considerate quasi impermeabili, come le otarie e gli elefanti marini. È uno dei motivi per cui nessun esperto parla di rischio zero.
Le autorità sanitarie americane stanno sequenziando il virus per capire se presenta mutazioni particolari, mentre i centri di ricerca globali stanno confrontando i dati con quelli dei focolai aviari degli ultimi mesi. La circolazione dell’H5N5 negli uccelli non è pienamente documentata, e questo indica che il virus potrebbe essere comparso prima del caso umano e non essere stato rilevato tempestivamente. L’assenza di evidenza di trasmissione tra persone resta però l’elemento più importante, perché definisce il rischio attuale come basso.
Gli specialisti ricordano un punto chiave: molte infezioni aviari avvengono in modo sporadico e non evolvono in forme capaci di sostenere una pandemia. I virus che fanno il salto di specie provocano spesso casi isolati. Il comportamento del ceppo americano sembra inserirsi in questo schema, anche se gli scienziati insistono sulla necessità di controlli continui.
Nelle prossime settimane saranno cruciali i test sugli allevamenti domestici dell’area di Washington, il monitoraggio delle specie migratorie e l’analisi molecolare dei campioni raccolti. Senza segnali di trasmissione interumana, l’H5N5 rimane un evento eccezionale e da comprendere, ma non un allarme globale. Le autorità internazionali ribadiscono che la sorveglianza è fondamentale perché i virus H5 sono noti per la loro imprevedibilità, ma invitano a evitare conclusioni drastiche o scenari non supportati dai dati attuali.






