Venerdì mattina il Bitcoin è sceso sotto gli 82mila dollari per la prima volta dalla metà di aprile, segnando un nuovo punto critico in una fase che sta diventando più lunga e complessa del previsto. Il mercato delle criptovalute continua a reagire in modo nervoso allo scossone partito il 10 ottobre, quando un evento di liquidazione mai visto prima ha innescato un crollo a catena che ha eroso nel giro di poche settimane i guadagni ottenuti dall’elezione di Trump e ha travolto miliardi di dollari in posizioni speculative. La sensazione diffusa, tra analisti e investitori, è che la volatilità stia entrando in una fase non solo tecnica ma anche emotiva, alimentata da timori politici, macroeconomici e dalle tensioni sui dazi che hanno colpito duramente il sentiment del settore.
Perché il Bitcoin sta crollando e cosa significa il ritorno sotto gli 82mila dollari
Il nuovo affondo sotto quota 81.900 dollari racconta una storia molto più complessa di una semplice correzione di mercato. Per gli operatori più esperti, il problema principale non è solo l’entità del ribasso, ma la velocità con cui questo movimento si sta ripetendo da quasi un mese. Il Bitcoin ha perso circa il 25% dall’inizio di novembre, e questo significa che buona parte del “premio politico” accumulato dopo l’elezione di Donald Trump è evaporato quasi completamente. Il dato è significativo perché, per molti investitori, quel periodo aveva rappresentato un possibile punto di stabilizzazione, con aspettative di una politica più morbida nei confronti delle criptovalute. In realtà, gli annunci sui dazi al 100% contro la Cina, poi ritirati, hanno prodotto l’esatto opposto.
Questo shock ha causato un’ondata di liquidazioni pari a 19,37 miliardi di dollari in 24 ore, una cifra che negli archivi delle piattaforme crypto appare come uno degli eventi più violenti dell’ultimo decennio. La caduta sotto gli 82mila era già stata vista ad aprile, quando il Bitcoin aveva toccato un minimo intorno ai 75mila dollari nel bel mezzo di un’altra fase di tensioni commerciali. La differenza, oggi, è che il mercato sembra avere meno cuscinetti di protezione: le posizioni con leva sono più sottili, la propensione al rischio si è ridotta e molti investitori istituzionali stanno aspettando segnali più stabili prima di rientrare.
Il contesto di sell-off sta colpendo anche la percezione della criptovaluta come “bene rifugio”. La volatilità registrata negli ultimi giorni — con 2,2 miliardi di dollari di liquidazioni in appena 24 ore — suggerisce un mercato estremamente sensibile agli shock geopolitici. Anche Ether, Solana, BNB, XRP e Dogecoin stanno vivendo cali tra il 9 e il 10%, segno che il movimento non è isolato e riguarda l’intero ecosistema.
E mentre il valore complessivo del mercato è sceso a 2,92 trilioni di dollari, cioè il 33% in meno rispetto all’inizio di ottobre, l’impressione è che non sia solo una fase di “pulizia” delle posizioni troppo aggressive, ma l’inizio di un nuovo ciclo di incertezza che potrebbe durare più a lungo del previsto. Gli investitori più prudenti osservano con timore anche gli indicatori tecnici: la capitalizzazione del Bitcoin, secondo Bloomberg, è scesa del 25% dall’inizio del mese, e questo rappresenta il peggior calo mensile dal 2022, l’anno del grande collasso post-FTX.

Le conseguenze sul resto del mercato e perché il caso Strategy può aggravare la situazione
Nel mezzo di questo scenario già teso, la situazione di Strategy (ex Microstrategy) rischia di diventare un ulteriore detonatore. La società, da anni considerata una sorta di “ETF vivente” sul Bitcoin, sta attraversando una fase delicata dopo che gli analisti di JPMorgan hanno avvertito che potrebbe essere esclusa da indici chiave come Nasdaq 100 e MSCI USA. Una rimozione dagli indici avrebbe conseguenze immediate: molti fondi sarebbero costretti a vendere le azioni, generando nuova pressione su un titolo che ha già perso il 41% negli ultimi 30 giorni e l’11% in una sola settimana.
Il rischio più serio riguarda però il legame diretto tra Strategy e Bitcoin. La società possiede 649.870 BTC, acquistati a un prezzo medio di 74.430 dollari. Se il titolo dovesse crollare ulteriormente, Strategy potrebbe essere costretta a liquidare una parte delle sue partecipazioni per stabilizzare la posizione finanziaria, e questo evento, da solo, potrebbe scatenare un nuovo crollo del mercato crypto. Non è un caso che diversi analisti stiano osservando con estrema attenzione il comportamento del titolo nelle contrattazioni pre-mercato: il calo del 2,44% registrato venerdì mattina è considerato un segnale da non sottovalutare.
Il quadro complessivo, guardandolo nella sua interezza, racconta la stessa dinamica vista in altri momenti di stress del settore: il Bitcoin cede terreno, le altcoin seguono con percentuali simili o peggiori, i mercati dei futures si contraggono e le piattaforme come Deribit evidenziano una crescita delle posizioni ribassiste. Questa volta, però, il contesto politico e macroeconomico aggiunge un ulteriore livello di vulnerabilità. La percezione che le decisioni commerciali della Casa Bianca possano scatenare shock immediati su un settore già fragile ha reso molti investitori più cauti, riducendo la liquidità disponibile nelle fasi di rimbalzo.
Molti trader sottolineano come la sotto-performance del Bitcoin rispetto al suo standard storico sia un segnale di inversione strutturale, non solo una fluttuazione passeggera. La consapevolezza che la criptovaluta sia scesa sotto il valore di inizio anno, dopo un 2024 di crescita continua, dimostra che siamo entrati in un equilibrio più fragile, dove eventi esterni possono avere effetti amplificati. Per il mercato crypto, abituato a movimenti estremi ma anche a rapide riprese, la vera domanda ora è se questa fase durerà, e se i prossimi mesi saranno di consolidamento o di ulteriore discesa. La verità, per ora, è che nessuno riesce a escludere un nuovo test dei minimi di aprile.






