Roma, 14 agosto 2025 – Nel dibattito politico internazionale sulla crisi ucraina si riaffaccia con forza la cosiddetta “soluzione coreana”, un modello ispirato alla divisione della Penisola Coreana tra Sud e Nord, caratterizzata da un confine militarizzato permanente e da un armistizio che ha congelato il conflitto senza una pace ufficiale. Questa proposta, rilanciata da figure come il generale Keith Kellogg, inviato speciale della Casa Bianca per l’Ucraina, si presenta oggi come un possibile scenario per la stabilizzazione del fronte ucraino, dove la guerra prosegue senza una fine visibile.
La genesi e le caratteristiche della soluzione coreana
La divisione della Corea è il frutto della guerra combattuta tra il 1950 e il 1953, conclusasi senza un trattato di pace ma con la firma di un armistizio il 27 luglio 1953 a Panmunjom. Questo accordo militare ha istituito una linea di demarcazione e una zona demilitarizzata (DMZ) di circa quattro chilometri di larghezza, che separa ancora oggi la Repubblica Popolare Democratica di Corea (Corea del Nord), governata dal regime socialista guidato da Kim Jong-un, dalla Repubblica di Corea (Corea del Sud), una democrazia liberale alleata degli Usa.
Il confine, pur estremamente militarizzato e fonte di continue tensioni, ha impedito il ritorno a un conflitto aperto per oltre 70 anni, generando due realtà politiche, economiche e sociali profondamente diverse e inconciliabili. La conferenza di Ginevra del 1954, che avrebbe dovuto unificare la penisola, si concluse senza risultati a causa delle pretese irredentiste contrapposte, lasciando però in vigore l’armistizio che regola tuttora la convivenza forzata.
Soluzione coreana, applicazione del modello al conflitto ucraino
Il generale Keith Kellogg ha recentemente proposto di applicare un modello simile alla situazione ucraina, prevedendo una divisione del Paese in tre zone di controllo: i territori attualmente sotto occupazione russa rimarrebbero sotto il controllo di Mosca, l’Ucraina occidentale, comprendente Kiev, Leopoli e Odessa, verrebbe affidata alla protezione di forze europee e ucraine, mentre la zona a est del fiume Dnipro sarebbe presidiata esclusivamente dall’esercito ucraino. Tra le due aree opposte sarebbe istituita una zona smilitarizzata a fungere da cuscinetto, simile alla DMZ coreana.
Questa configurazione non prevede una pace formale, ma un armistizio che fermi le ostilità, riducendo il rischio di escalation bellica. Per Kiev, pur trattandosi di un compromesso difficile, potrebbe rappresentare l’unica alternativa praticabile di fronte a un conflitto prolungato e a un sostegno occidentale che appare sempre più incerto.
Le implicazioni politiche e sociali per l’Ucraina
Dal punto di vista politico, una “soluzione coreana” significherebbe lo stallo della linea del fronte senza alcun riconoscimento delle annessioni russe, permettendo all’Ucraina di mantenere formalmente le proprie rivendicazioni su Crimea, Donbass e altre aree occupate, evitando un referendum costituzionale obbligatorio per la cessione di territori. Tuttavia, ciò comporterebbe anche una normalizzazione di una divisione de facto del Paese, con enormi implicazioni di natura sociale, economica e geopolitica.
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky si è finora opposto a soluzioni che implicano compromessi territoriali, ma la realtà sul campo e la pressione internazionale potrebbero spingere verso un congelamento del conflitto. Zelensky ha ribadito più volte la necessità di difendere l’integrità territoriale e ha ottenuto il sostegno dell’Occidente, ma la situazione critica lascia aperti molti interrogativi.
Il contesto internazionale e il futuro della pace
Nel panorama internazionale, la proposta di “coreanizzazione” del conflitto ucraino si scontra con diverse resistenze, in particolare da parte russa. Rifiuterebbero, infatti, la presenza di truppe europee sul proprio confine occidentale. Anche molte capitali europee si oppongono a questo modello perché temono un congelamento della guerra a discapito di una soluzione definitiva. La “finlandizzazione“, ovvero la neutralità obbligata sul modello finlandese del dopoguerra, è stata scartata già nel 2022.






