Khartoum, 24 novembre 2025 – Continua a infuriare la guerra civile in Sudan, iniziata nell’aprile 2023 e divenuta uno dei conflitti più sanguinosi e devastanti dell’ultimo decennio. L’ultima svolta negativa arriva dal rifiuto da parte dell’esercito sudanese della proposta di tregua mediata dagli Stati Uniti, sostenuta anche da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto. Il capo dell’esercito e presidente del Sudan, il generale Abdel Fattah al-Burhan, ha dichiarato lunedì che non accetta la tregua per motivi umanitari, in quanto ritiene l’accordo troppo sbilanciato a favore delle forze paramilitari delle Rapid Support Forces (RSF), il gruppo ribelle guidato da Mohamed Hamdan Dagalo, detto “Hemedti”.
Il ruolo di Abdel Fattah al-Burhan nel conflitto in Sudan
Al-Burhan, che detiene il potere in Sudan dal colpo di Stato militare del 2021, è una figura chiave nella crisi attuale. Nato nel 1960, ha una lunga carriera militare alle spalle, con esperienze come comandante delle forze di terra e attaché militare in Cina. Dopo aver guidato il Consiglio Militare di Transizione nel 2019, è divenuto presidente del Consiglio Sovrano, assumendo di fatto la guida dello Stato. La sua gestione è stata segnata da tensioni continue con le RSF: queste ultime, nate da milizie come le Janjaweed responsabili di crimini in Darfur, sono emerse come un esercito parallelo che contende il controllo del paese a Burhan.
La guerra civile, che ha causato almeno 150mila morti e 12 milioni di sfollati su una popolazione di circa 50 milioni, è il risultato diretto dello scontro tra l’esercito regolare di al-Burhan e le RSF di “Hemedti”. La proposta di tregua, accettata a inizio novembre dalle RSF, non ha trovato invece il consenso dell’esercito, il cui capo la considera troppo favorevole alle milizie paramilitari.
La crisi umanitaria e la comunità internazionale
La guerra civile ha scatenato una delle peggiori crisi umanitarie contemporanee, con milioni di civili intrappolati nei combattimenti e privi di accesso a beni di prima necessità. La comunità internazionale, inclusi gli Stati Uniti e i paesi del Golfo coinvolti nella mediazione, ha tentato invano di promuovere un cessate il fuoco. Tuttavia, la complessità dei rapporti di forza interni, con al-Burhan e “Hemedti” entrambi aspiranti al controllo supremo del Sudan, rende il futuro del paese estremamente incerto.
La situazione nel paese è ulteriormente complicata dalla lunga storia di conflitti interni, dalle rivalità etniche e dalla presenza di gruppi armati paramilitari che spesso operano con l’impunità. In questo contesto, la decisione di al-Burhan di respingere la tregua rischia di prolungare la guerra civile, aggravando la disperazione della popolazione sudanese.





