Khartum, 28 ottobre 2025 – La guerra civile in Sudan continua a infiammare la regione del Darfur, con un’escalation che mette a rischio migliaia di vite e un’intera città ormai allo stremo. Il 26 ottobre le Forze di supporto rapido (Rsf) hanno dichiarato di aver preso il controllo di Al Fashir, capoluogo del Darfur Settentrionale e ultima grande città della regione ancora sotto il controllo dell’esercito sudanese, dopo 18 mesi di assedio. Questo annuncio, che segna un punto cruciale nel conflitto iniziato nell’aprile 2023, ha innescato un’ondata di preoccupazioni a livello internazionale per le condizioni drammatiche in cui versa la popolazione civile.
La presa di Al Fashir e la crisi umanitaria
Al Fashir, con una popolazione stimata di circa 260mila civili ancora intrappolati, è stata oggetto di un lungo assedio da parte delle Rsf, che hanno circondato la città con un muro di 30 chilometri, rendendo praticamente impossibile l’accesso a cibo e cure mediche. Il segretario generale dell’ONU António Guterres ha denunciato una “terribile escalation del conflitto” e ha definito la sofferenza in Sudan “insopportabile”. Il governatore locale Minni Minnawi ha lanciato un appello urgente affinché si garantisca la protezione dei civili rimasti in città.
Le comunicazioni satellitari, limitate dalla presenza della rete Starlink, sono state interrotte, lasciando Al Fashir in un blackout totale, come riferito dal Sindacato dei giornalisti sudanesi. Nel frattempo, video diffusi dalle Rsf mostrano centinaia di uomini in abiti civili circondati da paramilitari, testimonianza di una situazione sul terreno ancora molto confusa. Combattimenti proseguono intorno all’aeroporto e nella parte occidentale della città, mentre il gruppo di resistenza locale denuncia la mancanza totale di supporto aereo da parte dell’esercito sudanese.
Secondo l’ONU, oltre un milione di persone sono fuggite dalla città da quando è iniziato il conflitto, ma le violenze e le condizioni estreme continuano a costringere migliaia a rimanere, esposti al rischio di violenze etniche, in particolare nei confronti del gruppo zaghawa, tradizionalmente non arabo e tra i più colpiti dalla guerra.
Il contesto politico e militare del conflitto in Sudan
Dall’inizio del conflitto, le forze armate sudanesi, guidate dal capo della giunta militare Abdel Fattah al Burhan, si sono scontrate con le Rsf di Mohamed Hamdan Dagalo, noto come Hemedti, in una lotta per il potere che ha provocato decine di migliaia di morti e più di 13 milioni di sfollati interni. Entrambe le fazioni sono accusate di crimini di guerra, compresi attacchi deliberati contro civili e ostruzione degli aiuti umanitari.
The paramilitary Rapid Support Forces say they’ve seized the Sudanese army headquarters in the city of El-Fasher in North Darfur.
There’s been no comment from the army. The city has been under siege for months, with the RSF fighting the army and its allies. pic.twitter.com/ELIhi6Z2uF
— BBC News Africa (@BBCAfrica) October 26, 2025
La crisi umanitaria ad Al Fashir si è aggravata ulteriormente negli ultimi mesi: l’unico ospedale rimasto funzionante, l’ospedale Al Saudi, è stato bombardato ripetutamente, limitando gravemente le possibilità di assistenza medica. Le Nazioni Unite e le organizzazioni umanitarie hanno più volte denunciato l’uso della fame come arma di guerra, con la popolazione ormai ridotta a nutrirsi di sostanze di fortuna come l’ombaz, una pasta di farina di bucce di arachidi, e sottoposta a frequenti epidemie di colera.
Dimensioni geopolitiche e prospettive internazionali
Il conflitto in Sudan non è più solo un problema interno, ma una crisi con implicazioni regionali e globali di vasta portata. L’Egitto sostiene l’esercito sudanese per tutelare i propri interessi strategici lungo il Nilo, mentre le Rsf hanno ricevuto supporti indiretti attraverso reti di contrabbando e alleanze politiche esterne. La presenza di droni iraniani a sostegno delle forze governative e le forniture di armamenti dagli Emirati Arabi Uniti indicano una complessa internazionalizzazione del conflitto.
Il Mar Rosso, zona strategica per il commercio mondiale e la sicurezza energetica, è diventato un ulteriore motivo di tensione, con la prospettiva di basi militari straniere che ha suscitato forti preoccupazioni a livello internazionale. La guerra civile sudanese rischia così di destabilizzare non solo il Corno d’Africa, ma l’intero quadrante che si estende dal Mediterraneo orientale al Golfo Persico, con possibili ripercussioni su traffici commerciali globali, sicurezza energetica e flussi migratori.
Mentre la comunità internazionale fatica a mantenere alta l’attenzione su questa crisi, il Sudan viene definito dai più come una “Gaza dimenticata”, dove la sofferenza umana si scontra con un silenzio mediatico e politico che rende ancora più difficile la risposta umanitaria e il sostegno alle popolazioni coinvolte.





