Khartum, 9 dicembre 2025 – Un recente rapporto del Sudan Witness Project ha rivelato dati agghiaccianti sulla campagna di bombardamenti aerei condotta dalla forza aerea sudanese (parte dell’esercito regolare, SAF) durante il conflitto civile che tormenta il Sudan dal 2023. Secondo l’indagine, almeno 1.700 civili sono stati uccisi in attacchi indiscriminati che hanno colpito quartieri residenziali, mercati, scuole e campi per sfollati interni. L’analisi, basata su oltre 380 bombardamenti documentati fino al luglio 2025, conferma l’uso di bombe non guidate in aree densamente popolate, una pratica che ha suscitato dure condanne internazionali.
Il contesto del conflitto e la responsabilità delle SAF
Il conflitto in Sudan è scoppiato nell’aprile 2023 tra l’esercito nazionale, guidato dal generale Abdel Fattah al-Burhan e la milizia paramilitare delle Forze di Supporto Rapido (Rapid Support Forces, RSF), comandata da Mohamed “Hemedti” Dagalo. Mentre le RSF sono note per le atrocità nella regione del Darfur, con accuse di genocidio mosse dagli Stati Uniti, le SAF sono state finora meno sotto i riflettori per le proprie azioni aeree. Il Sudan Witness Project ha tuttavia evidenziato come anche le SAF debba essere ritenuta responsabile per le violazioni dei diritti umani, in particolare per i bombardamenti aerei che hanno colpito infrastrutture civili e causato un alto numero di vittime innocenti.
L’indagine esclude gli attacchi con droni, che sono invece utilizzati principalmente dalle RSF, concentrandosi invece sui raid aerei condotti dagli aerei militari, un’esclusiva della SAF(le RSF non disporrebbero infatti di velivoli). Le autorità militari sudanesi hanno negato di colpire obiettivi civili, sostenendo che i bombardamenti sono diretti esclusivamente contro basi e raduni delle RSF, considerate legittimi obiettivi militari.
Sudan’s oil-rich Kordofan region has turned into a major front line in the war between the army and rival paramilitary forces, as both sides try to gain the upper-hand in a conflict that has devastated the vast African state for more than two years.https://t.co/dnUcU3s00T pic.twitter.com/nV4Y6er03n
— Abdullah Al Sadoon (@alsa9820) November 20, 2025
Impatto devastante sui civili e infrastrutture essenziali
Le analisi di Sudan Witness mostrano che su 384 bombardamenti documentati, 135 hanno colpito aree residenziali con danni verificati a case e infrastrutture civili. Mercati affollati sono stati presi di mira in almeno 35 occasioni, mentre 19 attacchi hanno coinvolto strutture destinate a gruppi vulnerabili come ospedali, scuole e campi per sfollati. Questi dati sono probabilmente sottostimati a causa delle difficoltà di accesso e raccolta informazioni in zone di guerra, ma forniscono un quadro inquietante delle tattiche impiegate dalla SAF.
Una delle evidenze più allarmanti riguarda il bombardamento del campo profughi di Zamzam, in Nord Darfur, dove è stata documentata la presenza di una bomba a caduta libera inesplosa, identificata come munizione SH-250 prodotta dalla Military Industry Corporation sudanese. Questo episodio, secondo Mark Snoeck, responsabile del progetto, rappresenta un “elemento scioccante” e mette in luce la mancanza di precauzioni per evitare vittime tra i civili.
In un altro caso, un raid sul mercato di Hamrat al-Sheikh, nel Nord Kordofan, ha causato almeno 30 morti e 100 feriti, con immagini video che mostrano l’impatto e le esplosioni. Il Darfur, epicentro di gran parte della guerra, è stato teatro di numerosi attacchi aerei che hanno colpito anche strutture sanitarie come l’ospedale di el-Daein, dove l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e Unicef hanno confermato 16 morti civili, tra cui bambini e operatori sanitari.
La guerra dimenticata e le implicazioni geopolitiche
La crisi in Sudan si inserisce in un contesto politico regionale complesso, con la divisione del Paese in due zone di influenza: le RSF controllano il Darfur e il sud-ovest, mentre la SAF mantiene il controllo del nord e della parte orientale lungo il Nilo e le coste del Mar Rosso. Il conflitto ha causato una crisi umanitaria senza precedenti, con oltre 150.000 morti stimate e circa 30 milioni di persone bisognose di assistenza, tra cui 12 milioni di sfollati interni e 4 milioni rifugiati nei Paesi limitrofi.
Il Sudan, per la sua posizione strategica sul Mar Rosso, è al centro di interessi geopolitici di potenze regionali e globali. Paesi del Golfo come Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita, oltre a Egitto e Libia, sostengono fazioni opposte nel conflitto, complicando ulteriormente la situazione e ostacolando i tentativi di mediazione. In questo scenario, la comunità internazionale appare ancora incapace di intervenire efficacemente per fermare la spirale di violenza.
Il ruolo degli armamenti stranieri e la mancanza di precisione nei bombardamenti aggravano la tragedia civile. Come sottolineato da Justin Lynch, direttore della Conflict Insights Group, “il conflitto in Sudan è fondamentalmente una guerra contro i civili”, dove l’uso sproporzionato di potenza aerea danneggia soprattutto popolazioni inermi e infrastrutture vitali.
Verso un cambiamento nelle tattiche di guerra
Negli ultimi mesi, secondo il Sudan Witness Project, si è registrato un progressivo spostamento verso l’uso di droni da parte di entrambe le fazioni, con attacchi spesso indiscriminati o mirati a intimidire le comunità civili controllate dall’altra parte. L’uso di droni ha aggiunto un ulteriore livello di pericolo, rendendo ancora più difficile la protezione dei civili e aumentando il numero delle vittime.
Gli attacchi aerei, spesso documentati grazie a immagini satellitari e video open source, restano una delle armi più letali del conflitto sudanese, con un impatto devastante sulle vite delle persone e sulla fragile economia del Paese. La comunità internazionale deve intensificare gli sforzi per monitorare e limitare questi abusi, garantendo che i responsabili rispondano delle violazioni del diritto umanitario internazionale.




