Khartoum, 31 dicembre 2025 – Il conflitto armato in Sudan sta attraversando una fase critica, con un drastico peggioramento delle condizioni umanitarie e un acuirsi delle ostilità nella regione strategica del Kordofan. Mentre la comunità internazionale fatica a mantenere un sostegno economico adeguato, le tensioni tra le Forze Armate Sudanesi (SAF) e le Forze di Supporto Rapido (RSF) si intensificano, minacciando di dividere il paese e aggravare una crisi umanitaria già senza precedenti.
Intensificazione dei combattimenti e controllo militare sul Kordofan
Durante il mese di dicembre, le Forze di Supporto Rapido hanno ampliato la loro offensiva, conquistando infrastrutture petrolifere vitali come il giacimento di Heglig, il più grande del paese situato nel Kordofan Occidentale. Un attacco con droni ha colpito il sito, causando gravi danni e vittime, spingendo a un accordo tripartito tra SAF, RSF e truppe sud sudanesi per la gestione temporanea e la messa in sicurezza del giacimento.
Il Kordofan è ormai il nuovo epicentro del conflitto, con combattimenti intensi che coinvolgono città chiave come Babnusa, Kadugli e Dilling. Le RSF hanno imposto assedi serrati, mentre le SAF hanno intensificato le campagne aeree, spesso impiegando droni con effetti devastanti. Un raid su una scuola materna e un ospedale a Kalogi, nel Kordofan Meridionale, ha provocato la morte di almeno 116 persone, tra cui 46 bambini, segnando un tragico episodio della guerra. Inoltre, un attacco a una base logistica delle Nazioni Unite a Kadugli ha causato la morte di sei peacekeeper bangladesi, definito dal Segretario Generale Antonio Guterres come potenziale crimine di guerra.
L’accesso a el-Fasher, capitale del Darfur, è stato concesso per la prima volta a una squadra ONU dopo la sua caduta a ottobre. La città è stata descritta come una vera e propria “scena del crimine”, con evidenze di una campagna sistematica delle RSF per distruggere prove di atrocità, inclusi incendi di corpi e uccisioni di massa.
Collasso umanitario in Sudan
Le condizioni umanitarie in Sudan hanno raggiunto un livello critico. Le Nazioni Unite hanno annunciato un dimezzamento del loro appello per il 2026, riducendo i fondi disponibili a 23 miliardi di dollari a causa della stanchezza dei donatori. Il Programma Alimentare Mondiale ha avvertito che a partire da gennaio dovrà ridurre le razioni alimentari del 70%, mettendo a rischio milioni di persone già sull’orlo della fame.
L’International Rescue Committee ha inserito il Sudan al vertice della sua lista di emergenze per il 2026, sottolineando come la combinazione di conflitto, collasso economico e drastica diminuzione del supporto internazionale rappresenti una minaccia senza precedenti. Nel frattempo, la violenza sessuale continua a essere impiegata come arma di guerra: un rapporto della Strategic Initiative for Women in the Horn of Africa ha documentato quasi 1.300 casi, attribuiti per l’87% alle RSF, con gruppi non-arabi particolarmente colpiti.
La situazione sanitaria è disastrosa: UNICEF segnala che il 53% dei bambini esaminati nel Darfur Settentrionale soffre di malnutrizione acuta, e a Khartoum il 97% delle famiglie affronta carenze alimentari. Le autorità locali hanno iniziato a riesumare corpi da fosse improvvisate per trasferirli in cimiteri ufficiali, mentre l’Unione Europea ha lanciato un’operazione di “ponte aereo” per consegnare aiuti vitali nelle zone più isolate del Darfur, definito “uno dei luoghi più difficili da raggiungere al mondo”.
Dinamiche politiche e diplomatiche
Sul fronte diplomatico, le tensioni restano altissime. Il Primo Ministro Kamil Idris ha presentato al Consiglio di Sicurezza ONU un piano di pace che prevede il ritiro e lo smantellamento delle RSF, ma questa proposta è stata respinta come una “fantasia” dai leader delle Forze di Supporto Rapido. Il capo delle SAF, Abdel Fattah al-Burhan, ha rifiutato ogni compromesso, dichiarando che il conflitto si concluderà solo con la resa e lo smantellamento delle RSF.
Nel frattempo, a Nairobi, una nuova coalizione civile anti-guerra ha visto la luce, con la firma di un accordo da parte di esponenti civili tra cui l’ex premier Abdalla Hamdok e il leader ribelle Abdelwahid al-Nur, che cercano di riappropriarsi della direzione politica del paese sottraendola ai generali in conflitto.
Gli Stati Uniti, attraverso il Segretario di Stato Marco Rubio, hanno intensificato la pressione diplomatica, con il coinvolgimento diretto del presidente Donald Trump. Il Dipartimento del Tesoro americano ha imposto sanzioni a quattro cittadini colombiani e a diverse società accusate di reclutare mercenari per conto delle RSF.
Infine, la Corte Penale Internazionale ha emesso una sentenza storica condannando a 20 anni di carcere Ali Kushayb, ex comandante delle milizie Janjaweed, per crimini di guerra commessi durante il conflitto in Darfur tra il 2003 e il 2004, rappresentando la prima condanna di questo tipo per la regione.




