Nel cuore delle tensioni tra Stati Uniti e Iran, lo Stretto di Hormuz torna a occupare un ruolo centrale nello scacchiere geopolitico globale. Situato tra il Golfo Persico e il Golfo dell’Oman, questo corridoio marittimo lungo appena 30 chilometri rappresenta una delle principali arterie dell’energia mondiale. Ogni giorno vi transita una porzione significativa delle esportazioni di petrolio e gas del Medio Oriente, rendendolo uno snodo cruciale tanto per le economie asiatiche quanto per quelle europee.
Le minacce da Teheran
Negli ultimi giorni, il generale Esmail Kowsari — generale dei Guardiani della Rivoluzione e membro del parlamento iraniano — ha evocato esplicitamente la possibilità di bloccare lo Stretto. La decisione finale spetterà al Consiglio Supremo per la Sicurezza Nazionale, guidato dalla Guida Suprema Ali Khamenei. Per l’Iran, mettere in discussione la libera navigazione in quest’area significa esercitare una pressione diretta sul mondo occidentale, in particolare dopo gli attacchi statunitensi contro i siti nucleari di Fordow, Natanz e Isfahan.
Il valore energetico dello Stretto di Hormuz
Secondo l’U.S. Energy Information Administration, attraverso lo Stretto di Hormuz passano ogni giorno circa 17 milioni di barili di petrolio, oltre a milioni di metri cubi di gas naturale liquefatto. Si tratta di oltre un quinto delle esportazioni energetiche mondiali. Arabia Saudita, Iraq, Qatar, Emirati Arabi Uniti e Iran stesso si affidano a questo stretto per raggiungere i mercati internazionali. Una sua interruzione avrebbe un impatto immediato su produzione, trasporti, inflazione e stabilità economica globale.
Segnali già visibili sui mercati
L’incertezza geopolitica ha già influenzato i prezzi del petrolio. Il greggio statunitense è aumentato nelle ultime due settimane, arrivando a quota 74,93 dollari al barile. Il timore di una possibile escalation sta spingendo i mercati a prezzare il rischio di un’interruzione dei flussi energetici. Secondo molti analisti, anche una chiusura temporanea o parziale dello Stretto potrebbe avere effetti a catena.
Una chiusura ‘di fatto’ attraverso il caos
Teheran potrebbe non arrivare a chiudere ufficialmente lo Stretto, ma renderne il transito pericoloso. È quanto suggeriscono gli incidenti avvenuti il 15 giugno nel Golfo di Oman, quando due petroliere — la Front Eagle e la Adalynn — sono entrate in collisione. Secondo Windward, società che si occupa di sicurezza marittima, decine di navi hanno mostrato anomalie nei tracciamenti GPS nei giorni precedenti, segno di possibili interferenze elettroniche. Spoofing e jamming — tecniche per alterare o oscurare i segnali di localizzazione — sarebbero stati messi in atto dalla costa iraniana, secondo i dati del Joint Maritime Information Center.
La chiusura dello stretto di Hormuz avrebbe ripercussioni anche in Europa
Sebbene la maggior parte del greggio che attraversa lo Stretto sia destinato ai Paesi asiatici, una quota significativa è diretta verso l’Europa. Le raffinerie europee, già sotto stress per la crisi ucraina, risentirebbero fortemente di un blocco del traffico a Hormuz. I rincari dell’energia si rifletterebbero su trasporti, beni di consumo, logistica e produzione agricola, rendendo ancora più fragile il quadro economico continentale.
Una via marittima strategica
Lo Stretto di Hormuz collega il Golfo Persico al Golfo dell’Oman e all’Oceano Indiano. Con circa 3.000 navi che lo attraversano ogni mese, è una delle rotte marittime più trafficate al mondo. L’Agenzia Internazionale per l’Energia lo definisce la “via d’uscita” per circa il 25% del petrolio globale. In passato, non sono mancati sequestri di petroliere da parte dei Pasdaran iraniani, a testimonianza della vulnerabilità dell’area.
Tentativi di diversificazione
Negli ultimi anni, Paesi come Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti hanno cercato di ridurre la dipendenza da Hormuz costruendo oleodotti alternativi. Riad ha puntato su infrastrutture interne che attraversano il regno fino al Mar Rosso, mentre Abu Dhabi ha realizzato collegamenti via terra per esportare il petrolio verso l’Oceano Indiano. Il Qatar, invece, resta privo di rotte alternative e ha già messo in allerta le proprie flotte, accelerando le operazioni di carico e scarico.
L’Iran e il paradosso dello Stretto di Hormuz
Anche per Teheran, lo Stretto rappresenta un canale indispensabile. Bloccarlo significherebbe colpire anche le proprie esportazioni energetiche. Tuttavia, la Repubblica Islamica ha minacciato di farlo in almeno venti occasioni dal 1979, soprattutto nei periodi di forte crisi politica o economica. Tra il 2018 e il 2022, l’Iran ha colpito interessi petroliferi di Paesi vicini anche attraverso gruppi alleati in Yemen e Iraq, dimostrando la sua capacità di destabilizzare la regione.
Una crisi che riguarda anche la Cina
Oltre agli Stati Uniti, uno dei Paesi più esposti è la Cina, primo destinatario delle esportazioni energetiche che passano per Hormuz, comprese quelle iraniane. Un’interruzione del traffico colpirebbe direttamente l’approvvigionamento energetico di Pechino, che ha investito miliardi in rotte alternative, ma resta comunque vulnerabile.
Uno specchio della fragilità globale
Lo Stretto di Hormuz è molto più di un passaggio marittimo: è un indicatore sensibile della salute geopolitica mondiale. In un contesto di instabilità crescente e diplomazia in crisi, ogni minaccia alla sua sicurezza si traduce in un rischio concreto per l’equilibrio internazionale. Ed è per questo che, ancora oggi, la sua chiusura resta una delle ipotesi più temute dagli osservatori globali.
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