Nel nord della Siria, ad Aleppo, si è aperto il primo processo pubblico nei confronti di coloro che avrebbero partecipato al massacro degli alawiti nella regione costiera di Latakia nel marzo 2025. Questo procedimento giudiziario segna un evento senza precedenti nella storia recente siriana, poiché tra gli imputati figurano anche membri delle forze di sicurezza dell’attuale governo, che ha scalzato quello guidato da Bashar al-Assad, rovesciato nel dicembre 2024.
Un processo simbolo per la nuova Siria
Il nuovo governo siriano, guidato dal presidente Ahmad al-Sharaa, ha voluto dare un segnale forte con l’avvio di questo processo, teso a dimostrare l’impegno verso la costruzione di uno stato di diritto dopo decenni di dittatura. Al-Sharaa ha ereditato un paese lacerato da anni di conflitto e repressione. Il processo, seppur segnato da limiti evidenti in termini di trasparenza e garanzie difensive, rappresenta un tentativo di rompere con il passato e di ottenere un riconoscimento internazionale che possa facilitare la revoca delle sanzioni e l’attrazione di investimenti esteri.
Secondo quanto riferito dal ministero della Giustizia siriano, la trasparenza di questo procedimento è «senza precedenti» e costituisce «una pietra miliare per la stabilità nazionale». Tuttavia, molte associazioni per i diritti umani restano scettiche riguardo alla possibilità che vengano perseguiti i veri responsabili politici e militari del massacro.
I fatti e le accuse al centro del processo per il massacro degli alawiti
Nel marzo 2025, la regione di Latakia è stata teatro di una violenta insurrezione guidata da ex militari alawiti (minoranza musulmana sciita di cui faceva parte l’ex dittatore) fedeli al deposto regime di Assad. Durante la rivolta, decine di membri delle forze di sicurezza furono uccisi. La risposta del governo di al-Shara’ fu un’imponente operazione militare che, secondo stime indipendenti, causò più di 1.400 morti tra combattenti e civili, inclusi donne e bambini.
Tra gli imputati figurano 265 esponenti dell’ex regime assadista e 298 militari governativi, ma solo 14 erano presenti all’udienza d’apertura. Il giudice Zakaria Bakkar ha affermato l’indipendenza del tribunale, mentre molte testimonianze e prove video, anche diffuse sui social media, sono state utilizzate per confrontare gli imputati con i crimini contestati. Alcuni degli accusati hanno negato le loro responsabilità, sostenendo di essere stati costretti a partecipare o che i video incriminanti fossero manipolati, arrivando perfino ad attribuire a tecnologie di intelligenza artificiale la creazione di filmati compromettenti.
Il procedimento si concentra sulle responsabilità individuali e non su quelle politiche o di comando. La commissione d’inchiesta incaricata ha infatti escluso l’esistenza di ordini ufficiali di uccidere civili da parte degli alti ufficiali governativi. Questa lettura è però contestata da numerosi osservatori internazionali che denunciano la natura sistematica e indiscriminata della repressione.






