Pierbattista Pizzaballa, cardinale e patriarca latino di Gerusalemme, ha tracciato un quadro aggiornato e dettagliato della situazione a Gaza e in Cisgiordania, nel corso di un’intervista rilasciata al Sir, al termine della sua recente visita pre-natalizia nella Striscia di Gaza. Nonostante la fine delle ostilità belliche, la realtà che si vive nel territorio rimane estremamente complessa e drammatica, con ferite profonde e una comunità cristiana che continua a testimoniare la propria presenza in condizioni di grande difficoltà.
Pizzaballa racconta Gaza: la fine della guerra e la dura realtà quotidiana
Secondo il patriarca, la guerra a Gaza è tecnicamente finita, ma persistono episodi di violenza sporadica e un diffuso senso di precarietà. “Non c’è più una guerra guerreggiata, ma il conflitto resta vivo e Gaza rimane un simbolo emblematico della sofferenza e del conflitto in atto”, ha spiegato Pizzaballa. Il cardinale ha sottolineato come sia visibile un desiderio di ripresa della vita, con più persone in giro per la città e un miglioramento nell’accesso ai beni, soprattutto di tipo commerciale. Tuttavia, la situazione materiale è ancora molto critica: molte persone vivono in tende senza adeguate protezioni dal freddo e dalla pioggia, e numerosi bambini sono privi di accesso alla scuola, con un terzo anno consecutivo senza istruzione regolare.
Inoltre, Pizzaballa ha evidenziato come a Gaza non vi sia fame nel senso stretto del termine, ma ha denunciato la carenza di alimenti essenziali come frutta, verdura e carne, con conseguenze gravi per la salute della popolazione, soprattutto dei più piccoli. L’assenza quasi totale di strutture ospedaliere funzionali aggrava ulteriormente la crisi sanitaria, con pazienti affetti da malattie croniche o gravi che non possono ricevere cure adeguate.
Cisgiordania e comunità cristiana: sfide e responsabilità
Riguardo alla Cisgiordania, Pizzaballa ha richiamato l’attenzione sugli attacchi dei coloni israeliani contro villaggi e proprietà palestinesi, un fenomeno spesso trascurato dai media ma che il patriarcato e le chiese locali denunciano con fermezza da tempo. La gravità della situazione è amplificata dall’impunità con cui questi atti vengono compiuti.
Sul fronte internazionale, il cardinale ha osservato come le società civili si siano dimostrate solidali con la popolazione palestinese, mentre gli organismi multilaterali hanno mostrato una certa debolezza, anche se ultimamente appaiono meno timidi nel loro impegno.
Il patriarca ha spiegato che, dopo anni di violenza e devastazioni, non è ancora il momento di proporre gesti concreti di pace: “Le ferite sono troppo profonde e i gesti devono essere veri per poter essere efficaci, e per questo serve tempo”. Ha poi ribadito che la pace non è uno slogan, ma una responsabilità condivisa da tutti, dai leader mondiali alle persone comuni, da costruire quotidianamente.
Nel contesto di questa drammatica realtà, la piccola comunità cristiana di Gaza ha scelto di rimanere, incarnando una testimonianza di fede e presenza attiva in un territorio segnato da conflitti e sofferenze. “Dire ‘restiamo’ significa affermare ciò che siamo e ciò che saremo”, ha detto Pizzaballa, lodando il coraggio e l’esempio della comunità locale.






