Gaza, 22 dicembre 2025 – Nel cuore della guerra che ha sconvolto la Striscia di Gaza a partire dall’ottobre 2023, la storia di una giovane madre palestinese ha assunto i contorni di un dramma umano emblematico. Hadeel Al Gherbawi, all’epoca incinta di sette mesi, ha dovuto affrontare un doppio parto in condizioni di guerra, tra bombardamenti incessanti, sfollamenti e privazioni estreme.
Un doppio parto tra bombardamenti a Gaza e sfollamenti
Viveva nella parte est di Gaza City, vicino al confine con Israele, e consapevole delle difficoltà di movimento in gravidanza, decise di trasferirsi dai genitori nella parte ovest della città il primo giorno di conflitto. La sua convinzione che la situazione sarebbe durata solo pochi giorni fu presto smentita: la famiglia è stata costretta a spostarsi tredici volte e la sua casa con il marito è stata distrutta.
A fine ottobre 2023, circa cinque settimane prima del termine previsto, Hadeel si trovò vicino al luogo di un massiccio bombardamento israeliano su un edificio residenziale a Gaza City, che causò oltre 100 vittime. “Non posso dimenticare l’orrore di quella notte”, ricorda. Fuggì all’ospedale al-Shifa, dove la mancanza di spazio e condizioni igieniche precarie rendevano quasi impossibile usare un bagno. Il dolore fisico si sommava allo shock emotivo davanti alla scena di corpi senza vita e resti umani.
Per sicurezza, lei e il marito si spostarono più a sud per il parto, scegliendo un ospedale a Khan Younis. Il timore di un travaglio naturale, complicato dalla difficoltà di trovare trasporti soprattutto di notte, la portò a chiedere un’induzione. Il parto di Jawad avvenne tra la paura e il caos dei bombardamenti, con la madre che sorvegliava attentamente per evitare confusione tra i neonati.
Dopo la nascita, la famiglia visse in condizioni precarie, prima in un appartamento affittato dove condividevano una stanza con trenta persone, poi in una tenda, esposta a sabbia e insetti, con Hadeel che si preoccupava costantemente della salute del bambino.
Una nuova gravidanza durante il conflitto a Gaza
A nove mesi dal primo parto, Hadeel scoprì di essere incinta nuovamente. “All’inizio ero sconvolta e triste”, racconta. La difficile convivenza con la guerra e la vita in tenda rendevano il pensiero di un altro figlio quasi impossibile da accettare.
Il cessate il fuoco di gennaio 2025 portò una breve speranza e la famiglia poté tornare per sei settimane nell’appartamento con la stanza azzurra di Jawad, ma il 18 marzo Israele ruppe il cessate il fuoco e furono costretti a fuggire di nuovo, con la casa distrutta.
La seconda gravidanza di Hadeel si svolse interamente in condizioni di guerra, con la fame come peggior nemica: “C’erano giorni in cui mangiavo solo un cetriolo”, confessa. La sofferenza più grande era vedere Jawad piangere per la fame, e offrirgli ogni boccone. Un rapporto che l’ONU ha definito coerente con la strategia di genocidio israeliana, usando la fame come arma di guerra.
Un parto in ambulanza tra dolore e carenze mediche
Avvicinandosi al termine, Hadeel decise di tornare dai genitori, vicino a un ospedale attrezzato con incubatrici. In mancanza di anestesia, dovette sopportare il dolore delle suture senza analgesici. Il parto di Fares, nato con soli 2 kg a causa della malnutrizione, avvenne in ambulanza dopo una discesa a piedi di cinque piani per mancanza di elettricità nell’edificio.
La giovane madre, esausta e senza mezzi di trasporto per tornare a casa, affrontò poi a piedi il ritorno dai genitori, portando con sé il piccolo neonato.
La vicenda di Hadeel Al Gherbawi rappresenta una testimonianza diretta della sofferenza della popolazione civile a Gaza, in particolare delle donne incinte e dei neonati, vittime innocenti di un conflitto che continua a mietere vite e distruggere speranze.






