Luglio 2025 ha rappresentato un mese cruciale per la politica ambientale europea. I Patriots for Europe (PfE), gruppo di estrema destra diventato la terza forza del Parlamento europeo, hanno ottenuto la guida dei negoziati sull’obiettivo climatico dell’UE al 2040. Questo ruolo chiave consente loro di scrivere la posizione ufficiale del Parlamento sulle future politiche ambientali, segnalando un’influenza ormai consolidata di forze che fino a pochi anni fa erano ai margini del dibattito politico.
La loro nomina coincide con l’intenzione dichiarata di “rivedere radicalmente la politica climatica europea”. Un obiettivo che rispecchia una nuova fase dell’azione della destra radicale in Europa: non più negazione del cambiamento climatico, ma rallentamento delle risposte politiche.
Dal negazionismo alla tattica del rinvio
Negli ultimi anni, l’approccio dell’estrema destra è cambiato. Se una volta negava apertamente l’esistenza del cambiamento climatico, oggi preferisce sostenere che le misure proposte per affrontarlo siano inefficaci, costose o addirittura dannose per l’economia. È quanto ha spiegato il ricercatore William Lamb del Potsdam Institute, che ha analizzato questa transizione verso un “discorso del ritardo”.
Un esempio evidente è quello di Arno Bausemer, eurodeputato del gruppo Europe of Sovereign Nations (ESN), che ha rivendicato con orgoglio il suo ruolo di “ritardatario” delle politiche verdi. Secondo Lamb, si tratta di una strategia sempre più diffusa: riconoscere il problema ma dissuadere qualsiasi azione concreta, evocando costi sociali, economici o geopolitici.
Il discorso di Gilles Pennelle, eurodeputato francese del Rassemblement National, si è concentrato sulle emissioni della Cina per giustificare un rallentamento delle politiche ambientali europee. È un approccio che sostituisce il negazionismo con un nazionalismo economico, sostenendo che le misure verdi danneggiano la competitività dell’Europa.
La destra contro il Green Deal
Il voto del Parlamento europeo dello scorso novembre ha segnato una rottura storica. Per la prima volta, una decisione di rilievo — il rinvio del regolamento contro la deforestazione — è stata sostenuta da un’alleanza tra l’estrema destra e i gruppi conservatori. Da allora, questa coalizione ha agito in modo sistematico per indebolire altre iniziative del Green Deal, compresi i regolamenti sulla sostenibilità delle imprese e l’attacco a ONG ambientaliste accusate di ricevere fondi UE in modo improprio.
Anche esponenti di gruppi apparentemente moderati, come Pietro Fiocchi dei Conservatori e Riformisti Europei (ECR), hanno criticato politiche chiave come la promozione dell’auto elettrica, accusandola di distruggere posti di lavoro e di essere più inquinante del motore a combustione. Fiocchi, ingegnere, rifiuta tuttavia l’etichetta di “negazionista”, sostenendo di voler basare le sue valutazioni su dati concreti.
La nuova geografia della destra europea
Attualmente il Parlamento europeo è composto da otto gruppi politici. Tra questi, l’EPP (Partito Popolare Europeo) resta il più numeroso con 188 seggi. I Patriots for Europe (85 seggi), l’ECR (79) e l’ESN (27) formano una vasta area di destra e ultradestra, che in alcune occasioni riesce a ottenere la maggioranza dei voti.
Sebbene non esista un’unione ufficiale tra questi gruppi, il loro avvicinamento strategico è evidente. Philippe Lamberts, consigliere della Commissione europea, ha sottolineato come l’EPP sia sotto pressione per cedere su alcune misure ambientali. Anche eurodeputati moderati, come Massimiliano Salini (EPP), riconoscono che oggi sono possibili accordi con i conservatori su temi che in passato erano intoccabili.
In questo contesto, l’ECR si presenta come “l’ago della bilancia” grazie alla nuova influenza politica acquisita da Giorgia Meloni e al rafforzamento del suo partito, Fratelli d’Italia, all’interno del Parlamento.
L’estrema destra e il negazionismo
All’estrema del fronte anti-clima si colloca l’ESN, dominato dai tedeschi di Alternative für Deutschland. I suoi membri mantengono posizioni negazioniste esplicite. La parlamentare Anja Arndt ha definito il caldo come “una benedizione per l’umanità” e ha negato ogni responsabilità umana nel riscaldamento globale. Secondo il ricercatore Balša Lubarda, l’ESN rappresenta oggi uno dei principali veicoli del negazionismo climatico a Bruxelles.
Pur essendo il gruppo più piccolo del Parlamento, l’ESN gioca un ruolo simbolico importante, rafforzando la legittimità del fronte anti-ambientalista nel dibattito europeo.
Verso lo smantellamento del Green Deal?
La pressione crescente di queste forze ha già prodotto risultati concreti. La Commissione europea, nel tentativo di rispondere alle critiche, ha presentato a febbraio l’“Omnibus Package”, un pacchetto di riforme volto a semplificare le normative ambientali. Le ONG, però, temono che si tratti di un pretesto per eliminare protezioni fondamentali conquistate con fatica.
Nicola Procaccini, leader dell’ECR, ha parlato apertamente della necessità di “alleggerire i vincoli” imposti dal Green Deal. Ma quanto si spingerà avanti questo processo dipenderà dall’EPP, che rischia di rafforzare le forze più ostili all’integrazione europea?
Secondo la politologa Catherine Fieschi, l’EPP è consapevole dei rischi di un’alleanza troppo stretta con l’estrema destra. Tuttavia, la pressione economica potrebbe portare anche i critici del Green Deal a difenderne alcuni aspetti, soprattutto se diventano vantaggiosi sul piano industriale e tecnologico.
In un’Europa alla ricerca di stabilità economica e credibilità geopolitica, la sfida sarà mantenere gli obiettivi climatici senza cedere a una retorica che vede nell’ambiente un ostacolo anziché un’opportunità.
Articolo basato sul lavoro di Michele Bertelli, Barnabé Binctin, Bart Grugeon, Julia Seegers e Martin Vrba, pubblicato su DeSmog.






