GERUSALEMME, 10 ottobre 2025 – Israele ha vissuto un’altra giornata sospesa, tra la paura e la speranza: dopo la notte di esultanza tra mercoledì e giovedì, ieri il Paese ha atteso con il fiato corto il voto del governo sull’accordo con Hamas, siglato al mattino a Sharm el Sheikh sotto la supervisione dei mediatori arabi e degli Stati Uniti. “Non è ancora finita”. È la frase che si ripete per le strade, nei telegiornali, nelle piazze. Lo gridano gli ex ostaggi, lo sussurrano i parenti che ancora aspettano un abbraccio.
Solo a tarda notte è arrivato il sì. Il governo ha approvato il piano, e la speranza ha prevalso sull’incertezza. Il cessate il fuoco è entrato in vigore immediatamente.
Ritiro delle truppe da Gaza: modalità e tempistiche
Le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno dato inizio al ritiro delle truppe dalla Striscia di Gaza, operazione che si svolge sotto la copertura di intensi raid aerei e bombardamenti di artiglieria. Questa mossa rappresenta un passo previsto dall’accordo recentemente ratificato dal governo israeliano con Hamas, il movimento islamista che controlla la Striscia.
Durante la notte e nella mattinata odierna, le IDF hanno iniziato a spostare le proprie unità secondo le linee di schieramento concordate, con alcune forze completamente ritirate da Gaza mentre altre si mantengono in posizioni strategiche lungo i confini. I bombardamenti di copertura hanno interessato specifiche aree per garantire la sicurezza delle truppe in movimento. Secondo quanto riportato dal Times of Israel, il ritiro dovrebbe essere completato entro la serata di oggi, rispettando la tempistica di 24 ore dalla ratifica ufficiale dell’intesa tra Israele e Hamas.
Le Forze di Difesa Israeliane, composte da circa 176.500 unità attive e 445.000 riservisti, rappresentano una delle forze armate più avanzate al mondo, con capacità tecnologiche e operative di alto livello. L’IDF è strutturata in esercito, marina e aeronautica, e sotto la guida del Primo Ministro Benjamin Netanyahu e del Ministro della Difesa Israel Katz, mantiene un ruolo centrale nella sicurezza nazionale.
Israele, le voci della piazza
A Tel Aviv, nella “piazza degli ostaggi”, migliaia di persone si sono radunate spontaneamente. “Dobbiamo continuare a combattere, a pregare, a mandare energia positiva finché non saranno qui“, ha gridato Omer Shem Tov, liberato dai tunnel a febbraio.
Qualcuno ha già proposto di ribattezzare lo spiazzo davanti al Museo di Tel Aviv: da “Piazza degli Ostaggi” a “Piazza dei Ritornati”. Ma non ancora, dice chi aspetta un figlio. “Sogno solo di vedere Matan dormire nel suo letto“, ha raccontato Einav Zangakauer, madre simbolo del movimento per il ritorno dei prigionieri.
Israele, conto alla rovescia per il ritorno degli ostaggi
L’accordo prevede la liberazione dei venti ostaggi entro 72 ore dall’approvazione. Gli ospedali israeliani sono già in stato d’allerta: i medici si aspettano condizioni fisiche critiche, peggiori rispetto a quelle dei prigionieri liberati finora. “Sono in pericolo di vita. Lo sappiamo per certo“, ha dichiarato il dottor Hagai Levine, che monitora da mesi la salute dei rapiti con i pochi dati disponibili.
La decisione del governo è arrivata solo dopo ore di incertezza, rallentata dalle minacce dei ministri ultranazionalisti Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich.
Diplomazia e tensione
Per garantire che nulla saltasse all’ultimo momento, nella notte sono giunti a Gerusalemme gli inviati di Donald Trump, Steve Witkoff e Jared Kushner. Il presidente dovrebbe raggiungere la regione nei prossimi giorni, in tempo per assistere a un’operazione di liberazione che, secondo i calcoli americani, potrebbe avvenire tra lunedì e martedì.
Restano aperti i nodi sui nomi dei prigionieri palestinesi da liberare, sui termini del disarmo di Hamas e sulle garanzie che Israele non torni indietro. Gli Stati Uniti hanno dichiarato che “la guerra è finita”, mentre Hamas ha annunciato di stare lavorando all’uscita degli ostaggi vivi. Più complessa la restituzione dei corpi dei morti: Turchia, Qatar ed Egitto dovrebbero intervenire con mezzi e squadre specializzate.
Gaza attende
Intanto, nella Striscia di Gaza, si preparano aiuti umanitari: 400 camion nei primi giorni, destinati ad aumentare, con le Nazioni Unite pronte a sbloccare materiale fermo ai valichi da mesi. Due milioni di persone attendono cibo, medicine, tende e macchinari per la ricostruzione.
Eppure, anche ieri, la guerra non si è fermata del tutto. Bombardamenti su Gaza City sono stati confermati da due fonti locali: 17 morti, meno della media delle ultime settimane, ma troppi per un conflitto che dovrebbe chiudersi. In serata, un nuovo attacco ha colpito la zona est della città, con persone intrappolate sotto le macerie.
Una tregua fragile
Nelle strade di Gaza, intanto, si festeggia tra tende e spiagge, nella speranza che questa volta la pace duri davvero. L’accordo, oltre a fermare due anni di carneficina, punta a contenere un’escalation regionale che ha coinvolto Libano, Yemen, Siria e Iran.
Anche i mercati hanno reagito: dopo mesi di declino, lo shekel ha ripreso forza contro dollaro ed euro. Un segnale che, forse, la speranza può ancora battere la paura.






