La lunga crisi in Medio Oriente, in particolare il conflitto a Gaza, ha determinato un cambiamento significativo nelle relazioni tra Israele e l’Europa, influenzando anche settori vitali come il turismo. Lo Stato d’Israele, guidato dal primo ministro Benjamin Netanyahu, sta riorientando le proprie strategie per rilanciare un comparto turistico gravemente colpito dalla situazione di instabilità e dalle tensioni geopolitiche.
Israele: il turismo tra crisi e nuove strategie
Il settore turistico israeliano ha subito un drastico calo che rispecchia la profonda crisi del Paese. Nel 2019, prima dello scoppio della guerra a Gaza, Israele aveva registrato quasi 5 milioni di arrivi turistici, cifra che oggi si è ridotta a circa 1,3 milioni di visitatori per il 2025. Molti di questi ingressi non sono turisti ma persone in visita a familiari, un dato che sottolinea la difficoltà del settore. Località storiche come Tiberiade, Nazareth e Safed, fortemente dipendenti dal turismo, rischiano di subire gravi conseguenze economiche.
Il ministero del Turismo israeliano, con a capo il direttore generale Michal Yitzhakov, ha deciso di spostare il focus dalle tradizionali fonti europee – ormai meno disponibili a visitare Israele a causa del conflitto, del genocidio a Gaza e delle proteste contro il governo Netanyahu – verso nuovi mercati asiatici. In particolare, l’attenzione si concentra su Paesi come India, Cina e Filippine, che rappresentano circa il 50% della popolazione mondiale e costituiscono un bacino di potenziali visitatori da cui attingere per rilanciare il settore.
Nonostante un investimento di circa 150 milioni di dollari nel 2025 destinato a contrastare la crisi, gli esperti ritengono che occorrano ancora strategie più efficaci per invertire la tendenza negativa. “Non ha senso insistere su un mercato che non ci vuole più”, ha dichiarato Yitzhakov, riferendosi agli europei, “Israele deve aprirsi a nuovi orizzonti, soprattutto in Asia”.
Benjamin Netanyahu: dalla politica interna alla richiesta di grazia
Benjamin Netanyahu, leader del partito Likud e primo ministro di Israele dal 29 dicembre 2022, è al centro di una controversia politica e giudiziaria che incide anche sull’immagine internazionale del Paese. Nato a Tel Aviv nel 1949 e con una lunga carriera politica alle spalle, Netanyahu è attualmente sottoposto a un processo per corruzione, frode e abuso di fiducia, iniziato nel 2020.
In un recente sviluppo, il premier ha formalmente chiesto al presidente Isaac Herzog una grazia presidenziale per poter continuare a guidare il Paese senza l’onere delle frequenti testimonianze giudiziarie, che definisce “impossibili da sostenere”. La richiesta ha suscitato un acceso dibattito interno: mentre i ministri di governo sostengono la necessità di porre fine a quella che definiscono una “persecuzione politica”, l’opposizione insiste sulla necessità che Netanyahu ammetta le proprie responsabilità e si ritiri dalla vita politica. La decisione di Herzog è attesa nelle prossime settimane o mesi e potrebbe avere ripercussioni significative sulla stabilità politica israeliana.




