Negli ultimi tre giorni rase al suolo almeno 9 abitazioni di sospetti fiancheggiatori del movimento
Kashmir: oltre duemila persone interrogate nei commissariati per identificare i terroristi del massacro del 22 aprile. Almeno duecento fermi. Operazioni di incursione cercano membri del LeT senza rivendicazione. Il Chief Minister Omar Abdullah evidenzia manifestazioni contro il terrorismo e l’importanza del sostegno popolare.
Oltre duemila persone sono state interrogate dalle forze di polizia in Kashmir, nell’ambito delle indagini per scoprire i responsabili del tragico attacco avvenuto il 22 aprile. Secondo quanto riportato dall’agenzia France Presse, circa duecento di queste persone sono attualmente trattenute in stato di fermo. Le autorità stanno cercando di identificare non solo i terroristi, ma anche i loro fiancheggiatori.
Operazioni di sicurezza intensificate
Le forze di sicurezza hanno avviato un’imponente operazione di incursioni nei villaggi, che va avanti da giorni. Questi raid mirano a rintracciare membri del Lashkar-e-Taiba (LeT), un gruppo jihadista con base in Pakistan, il quale, ironia della sorte, non ha ancora rivendicato l’attentato del 22 aprile. La polizia ha già demolito almeno nove abitazioni di sospetti sostenitori del movimento nei tre giorni successivi al massacro, dimostrando una determinazione a combattere il terrorismo, anche se questo solleva interrogativi sulle conseguenze per le comunità locali.
Messaggi di solidarietà e avvertimenti
In un contesto di crescente tensione, il Chief Minister del Kashmir, Omar Abdullah, ha parlato durante la prima convocazione dell’assemblea legislativa, sottolineando l’importanza delle manifestazioni contro il terrorismo che si sono diffuse in tutto lo stato. Ha evidenziato un momento simbolico: per la prima volta, la principale moschea di Srinagar ha osservato due minuti di silenzio prima della preghiera del venerdì, un gesto che testimonia il dolore e la solidarietà della comunità.
Tuttavia, Abdullah ha messo in guardia contro misure che potrebbero alienare la popolazione: “Non possiamo controllare un terrorista armato, ma possiamo porre fine alla militanza se la gente è dalla nostra parte. È giusto punire severamente i colpevoli, ma dobbiamo evitare di trasformare gli innocenti in danni collaterali.” Le sue parole sottolineano la necessità di un approccio equilibrato, che tenga conto della complessità della situazione nel Kashmir, dove le tensioni etniche e religiose sono storicamente radicate.
La situazione attuale richiede una riflessione profonda e un impegno collettivo per garantire la sicurezza e la stabilità nella regione.






