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Gaza, intesa raggiunta tra Israele e Hamas. La portavoce del governo israeliano: “L’Idf manterrà il controllo del 53% di Gaza”

Annunciata da Trump la firma della prima fase del piano di pace tra Israele e Hamas, con il sostegno di Qatar, Egitto e Turchia. Attesa per il rilascio degli ostaggi

by Marco Viscomi
9 Ottobre 2025
Festeggiamenti a Gaza e Israele

Festeggiamenti a Gaza e Israele | ANSA - EPA/HAITHAM IMAD e EPA/ABIR SULTAN

Washington, 8 ottobre 2025 – Un annuncio tra la notte e il primo mattino, una raffica di conferme e smentite operative, un mosaico di reazioni che va da Gerusalemme a Bruxelles, dal Cairo a Parigi. La prima fase del piano di pace per Gaza promosso dal presidente USA Donald Trump ha imboccato la strada dell’attuazione, ma a passo vincolato: il cessate il fuoco scatterà solo dopo la ratifica del governo israeliano, convocato oggi con una riunione del gabinetto di sicurezza alle 17 italiane e, a seguire, il voto dell’esecutivo. Come reso noto dalla portavoce del governo israeliano Shosh Bedrosian, “la bozza finale della fase uno è stata firmata questa mattina in Egitto da tutte le parti per il rilascio di tutti gli ostaggi”. Ha anche aggiunto che l’esercito israeliano manterrà il controllo di circa il 53% del territorio di Gaza e che il cessate il fuoco entrerà in vigore entro 24 ore dalla riunione del Consiglio dei Ministri. “L’Idf si ritirerà sulla linea gialla come indicano le mappe del piano Trump. Dopo 24 ore, inizieranno le 72 ore durante le quali tutti i nostri ostaggi saranno rilasciati e riportati in Israele“.

Sul terreno, intanto, gli avvertimenti dell’Idf: il Nord della Striscia resta zona di combattimento, “tornare a Gaza City è estremamente pericoloso”. Segno che tra l’annuncio e la realtà c’è di mezzo l’implementazione. 

Hamas: “Ricevute rassicurazioni sulla fine del conflitto”

Il capo negoziatore di Hamas, Khalil al-Hayya, ha dichiarato che il movimento ha ricevuto “rassicurazioni dai mediatori e dall’amministrazione statunitense” secondo cui il conflitto è “completamente terminato”. A riferirlo è l’emittente Al Jazeera. Al-Hayya ha inoltre annunciato che, nell’ambito dell’accordo raggiunto, Israele rilascerà 250 prigionieri palestinesi condannati all’ergastolo, oltre ai 1.700 detenuti di Gaza arrestati dall’inizio della guerra.

Che cosa prevede la prima fase

Il perimetro, secondo le fonti citate dalle agenzie, è chiaro nelle intenzioni e ancora fluido nei dettagli: rilascio degli ostaggi, con la possibilità che rientrino anche le salme, ritiro graduale delle forze israeliane su linee concordate, ingresso degli aiuti umanitari. Diverse ricostruzioni indicano una finestra di 72 ore dall’entrata in vigore per completare gli scambi e i movimenti militari, ma Gerusalemme ha precisato: prima il voto, poi la tregua. Nel frattempo, media egiziani hanno parlato di cessate il fuoco già operativo; sul fronte opposto, Al Jazeera ha riferito di attacchi israeliani su Gaza City. È la fotografia di una fase di transizione: la narrazione politica corre, il cronoprogramma tecnico insegue. 

Funzionari statunitensi ricordano che l’accordo annunciato copre solo i “primi giorni e settimane” del pacchetto in 20 punti presentato da Trump: governance di Gaza, disarmo dei combattenti di Hamas, architettura di sicurezza e ruolo delle autorità palestinesi restano da negoziare. Da Israele trapela l’ipotesi di un ritiro completo da Gaza City con Rafah fuori dal perimetro iniziale. Sul dossier detenuti, la “linea rossa”: niente liberazione per chi ha pianificato o partecipato al 7 ottobre 2023. 

Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, Hamas ha dichiarato di aver bisogno di almeno dieci giorni per localizzare i corpi degli ostaggi israeliani morti. Sono complessivamente 48 gli israeliani presi in ostaggio, di cui 20 sarebbero ancora vivi.

Gaza, partiti 153 camion di aiuti umanitari dopo l’annuncio del cessate il fuoco

Sono 153 i camion carichi di aiuti umanitari in viaggio verso la Striscia di Gaza attraverso il valico di Rafah, dopo l’annuncio dell’accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hamas. Lo ha reso noto la Mezzaluna Rossa egiziana da Sharm el Sheikh.

Il convoglio, diretto al valico di Kerem Shalom per poi essere trasferito all’interno della Striscia, trasporta beni di prima necessità destinati alla popolazione civile. Dei 153 camion, 80 sono stati messi a disposizione dalle Nazioni Unite, 21 provengono dal Qatar e 17 dalla Mezzaluna Rossa egiziana.

Meloni: “Notizia attesa, lavoro lungo”

Da Palazzo Chigi, la premier Giorgia Meloni rivendica la postura di sponda e manda un messaggio di realismo: “Ero in contatto con una parte dei negoziatori, sapevo che si facevano passi avanti da giorni… Per me era una notizia attesa“. Poi i ringraziamenti “a Trump e ai mediatori Qatar, Egitto, Turchia, ma anche alla comunità internazionale che ha lavorato con convergenza totale“. Il punto politico, però, è nell’avvertenza: “Siamo alla prima fase: rilascio ostaggi e ritiro graduale. Il lavoro è molto lungo e coinvolgerà anche noi“. Tradotto: Roma si accredita nel fronte dei facilitatori, ma prepara l’opinione pubblica a tempi non brevi. 

Netanyahu tra trionfo e fronda

A Gerusalemme, il premier Benjamin Netanyahu tinge di pathos: “Un grande giorno per Israele… Con l’aiuto di Dio riporteremo tutti a casa“. Gratitudine profonda a Trump e ai militari dell’Idf. Ma il consenso non è monolitico. Il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich annuncia che voterà contro: “C’è un’immensa paura delle conseguenze dello svuotamento delle prigioni e del rilascio della prossima generazione di leader terroristi“. È il prezzo interno di ogni tregua: tenere insieme sicurezza, ostaggi, coalizione. 

Nel Paese, intanto, la voce delle famiglie dei rapiti tiene l’agenda emotiva: “Trepidazione e apprensione. È un progresso importante, ma la nostra lotta non finisce finché non tornerà l’ultimo dei 48 ostaggi“. Alcuni familiari indicano sabato come possibile data di rilascio dei vivi; Trump spinge più in là: “Lunedì rientreranno gli ostaggi e anche i corpi di chi è morto“. 

Hamas, il linguaggio della svolta

Dal versante palestinese, Hamas parla di “fine della guerra“, ritiro dell’Idf, ingresso degli aiuti, scambio di prigionieri. Ringraziamenti a Qatar, Egitto e Turchia, oltre che a Trump. È un lessico da svolta, con un non detto enorme: chi governerà Gaza domani, con quali garanzie e quali forze di sicurezza? Per ora, silenzio. Ma il passo retorico registra un cambio di stagione. 

Trump si intesta la leadership. “Dentro anche l’Iran”

Da Washington, Trump mette il sigillo: “Israele e Hamas hanno firmato la prima fase del piano. Tutti gli ostaggi saranno rilasciati molto presto e Israele ritirerà le truppe su una linea concordata“. Il presidente annuncia che gli USA saranno coinvolti nella ricostruzione e nel mantenimento della sicurezza. E rilancia: “L’Iran sarà parte integrante della situazione di pace“. È la scommessa più audace, potenzialmente divisiva, ma coerente con l’idea di una stabilizzazione regionale. In parallelo, la dimensione simbolica: invito di Netanyahu a parlare alla Knesset che Trump dice di essere pronto ad accettare, telefonata “emozionante” tra i due, video di familiari degli ostaggi: “Il presidente ce l’ha fatta“. 

Europa, sostegno con condizioni

Emmanuel Macron parla di “immensa speranza” e convoca a Parigi i partner per discutere del day after. La presidente della Commissione Ursula von der Leyen accoglie l’intesa e fissa paletti: rilascio di tutti gli ostaggi, cessate il fuoco permanente, aiuti immediati, percorso credibile verso una pace duratura “ancorata alla soluzione a due Stati“. L’alto rappresentante Kaja Kallas definisce l’accordo una svolta, promettendo che l’UE farà “tutto il possibile” per l’attuazione. Pedro Sánchez saluta “il primo passo per una pace giusta e duratura“, Keir Starmer parla di “profondo sollievo” globale. È la grammatica europea: appoggio, condizionalità, due Stati come bussola. 

Mediatori e Vaticano: “momento cruciale”, “fiducia necessaria”

Il Qatar annuncia di aver raggiunto un’intesa “su disposizioni e meccanismi di attuazione della prima fase“. L’Egitto definisce l’istante “momento cruciale” e prepara la trasferta a Parigi. La Turchia di Recep Tayyip Erdogan è “profondamente lieta“, ringrazia Trump e promette di monitorare l’attuazione, ribadendo l’obiettivo di uno Stato palestinese sui confini del 1967 con Gerusalemme Est capitale. Da Gerusalemme, il patriarca latino Pierbattista Pizzaballa usa il registro del realismo: “Bella notizia. La strada è lunga ma bisogna cominciare. La liberazione degli ostaggi, il ritiro parziale e gli aiuti danno fiducia“. Nessuna illusione sulla ‘normalità’: non è dietro l’angolo, ma si può ripensarla. 

Ramallah: “preludio a uno Stato”

Il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen accoglie con favore l’annuncio e lo legge come preludio a una soluzione politica permanente: fine dell’occupazione e nascita di uno Stato palestinese indipendente. È la mossa per rientrare nella partita del giorno dopo, dove il tema di chi governa Gaza sarà dirimente. 

Tre nodi che decidono tutto su Gaza

Sequenza e verifiche. Il successo della fase uno si misurerà su tre indicatori: cessazione effettiva delle ostilità, rilascio integrale degli ostaggi (e gestione delle salme), movimenti verificabili delle truppe israeliane sulle linee concordate. Finché l’Idf segnala aree di combattimento e si registrano azioni cinetiche, il cessate il fuoco resta intenzione. 

Dossier detenuti. È il cuore politico per Israele. Le famiglie spingono per chiudere subito, la destra nazional-religiosa teme il rilascio di figure in grado di riattivare la violenza. La composizione dello scambio sarà la prova di tenuta della coalizione e della fiducia reciproca tra le parti. 

Il “dopo Gaza”. Governance, sicurezza, disarmo, ruolo dell’Anp, eventuale presenza araba sul terreno (Egitto, Qatar, Giordania, Arabia Saudita), garanzie internazionali e ricostruzione. Qui si gioca la sostanza politica. L’idea di includere Teheran nel perimetro di stabilizzazione può sbloccare o far saltare l’architettura. 

Tra piazza e diplomazia

Dalle strade di Gaza, i media israeliani raccontano festeggiamenti spontanei dopo l’annuncio. In Israele, il presidente Isaac Herzog prova a stringere il Paese: “L’intero popolo è con gli ostaggi e le famiglie“. A New York, il segretario generale Antonio Guterres invita le parti a “rispettare pienamente” i termini, chiede cessate il fuoco permanente e corridoi umanitari “immediati e senza ostacoli”. È il coro che accompagna ogni tregua: speranza pubblica, prudenza nelle cancellerie, contabilità sul terreno. 

La conclusione (provvisoria)

Oggi la parola giusta è fase. Non “pace”, non “fine”, non “soluzione”. Fase: un cantiere aperto dove annunci, procedure e verifiche si incastrano. Meloni rivendica l’“attesa” e parla di lavoro lungo; Netanyahu promette “tutti a casa“e fronteggia la fronda; Hamas usa il lessico della svolta; Trump si prende la leadership e rilancia sul coinvolgimento USA e sul fattore Iran; Europa e mediatori si piazzano sul fianco dell’attuazione; Ramallah chiede che questo sia davvero l’inizio della politica. 

Da qui in avanti, conterà quello che non succede: i colpi che non partono, le sirene che non suonano, i civili che non scappano. Se alle parole seguiranno atti verificabili, potremo dire che il cantiere della pace ha gettato le fondamenta. Fino ad allora, è un cessate il fuoco condizionato, una tregua a orologeria e un impegno solenne da misurare giorno per giorno: riportare tutti a casa e aprire la strada a due Stati. 

Tags: Conflitto Israele-HamasDonald Trump

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