Nel quadro delle tensioni internazionali che avvolgono la Striscia di Gaza, emergono nuove rivelazioni sulle intenzioni degli Stati Uniti riguardo alla gestione post-conflitto dell’area. Secondo documenti militari statunitensi analizzati da fonti giornalistiche internazionali, tra cui il Guardian, Washington starebbe pianificando una divisione a lungo termine dell’enclave palestinese in due zone distinte: una “zona verde” sotto controllo militare israeliano e internazionale dove si concentrerà la ricostruzione, e una “zona rossa” lasciata in rovina e sotto controllo israeliano diretto.
Il piano USA per Gaza e il voto ONU
La parte orientale di Gaza vedrebbe l’ingresso congiunto di forze straniere e truppe israeliane, mentre la linea di confine interna, definita come la “linea gialla”, dividerà la Striscia in modo da mantenere separate le due zone. Questa strategia è parte di un piano più ampio sostenuto dall’amministrazione del presidente Donald Trump, rieletto nel 2025, che punta a stabilire un mandato di pace con durata fino a dicembre 2027, includendo la creazione di un “comitato per la pace” e l’invio di una “forza internazionale di stabilizzazione”.
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si prepara a votare già lunedì una risoluzione proposta dagli Stati Uniti che riflette queste linee guida, ma la situazione rimane incerta a causa del possibile veto di Russia e Cina. La Russia ha infatti presentato una propria bozza di risoluzione che mina alcuni dei punti chiave del piano statunitense, alimentando tensioni diplomatiche all’ONU.
Arabia Saudita e la diplomazia regionale
Nel contesto della crisi mediorientale, è attesa a Washington la visita del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. Il suo incontro con il presidente Trump sarà cruciale per cercare garanzie di sicurezza e favorire la normalizzazione delle relazioni tra Arabia Saudita e Israele, in linea con gli Accordi di Abramo che l’amministrazione Trump ha più volte promosso. La visita giunge in un momento delicato per il Medio Oriente, segnato da forti pressioni internazionali per una soluzione duratura al conflitto israelo-palestinese.
Le implicazioni umanitarie e politiche
L’ambasciatore statunitense all’ONU, Mike Waltz, ha definito il cessate il fuoco a Gaza come “fragile” e ha avvertito che la mancata approvazione della risoluzione americana comporterebbe un grave costo umano, con il rischio di un ritorno alla guerra o al dominio di gruppi terroristici come Hamas. Washington e diversi Paesi arabi e a maggioranza musulmana, tra cui Egitto, Arabia Saudita e Turchia, hanno chiesto un’adozione rapida della risoluzione per evitare un conflitto prolungato.
Il dibattito internazionale su Gaza continua quindi a intrecciarsi con le dinamiche politiche interne di Stati Uniti e Arabia Saudita, mentre la diplomazia globale rimane in attesa del voto all’ONU che potrebbe determinare il futuro immediato di una delle aree più contese e devastate del pianeta.






