Bologna, 16 giugno 2025 – “Adesso siamo in un rifugio, è appena suonata la sirena”, racconta Giannalberto De Filippis, originario di Bologna, mentre si trova a Nahariya, a circa un’ora e mezza a nord di Tel Aviv, insieme ai suoi due figli adolescenti. La famiglia è bloccata in Israele a causa del conflitto in corso e non ha ancora una data certa per il ritorno in Italia.
Famiglia italiana bloccata in Israele, la testimonianza diretta
De Filippis, che vive a Loiano con la moglie Michal, di origine israeliana, e i figli Liam e Luna, è arrivato in Israele il 30 maggio scorso per partecipare al matrimonio di una cugina della moglie. La cerimonia, organizzata in un momento di relativa calma, è stata segnata dall’escalation di tensioni militari. Dopo gli attacchi all’Iran e le successive risposte, lo spazio aereo di Israele è stato chiuso, bloccando la moglie, in tournée in Germania, dall’unirsi a loro e impedendo il rientro della famiglia in Italia.
“Saremmo dovuti tornare il 24 giugno, ma ora è tutto sospeso”, spiega De Filippis. Mentre altri Paesi hanno già iniziato le operazioni di rimpatrio dei propri cittadini, la famiglia lamenta la mancanza di comunicazioni dall’ambasciata italiana, che ha solo suggerito di attenersi alle direttive di sicurezza. La famiglia è pronta a tornare in qualsiasi momento, ma attende indicazioni ufficiali.
Le difficoltà della famiglia tra sirene e rifugi
La prima notte di bombardamenti, Giannalberto e i figli si trovavano a Chorazim, vicino al lago di Galilea, in un appartamento privo di “safe room”. “Siamo dovuti correre nel rifugio comune, i ragazzi erano molto scossi e confusi”, racconta. Successivamente si sono spostati a Maalot, una frazione di Nahariya, dove vivono alcuni parenti con una stanza rifugio sicura, dotata di porta e finestra blindate. Qui si sono rifugiati durante il primo attacco diurno.
De Filippis sottolinea che la paura non deriva solo dai missili che superano gli scudi difensivi di Israele, ma anche dai frammenti dei razzi abbattuti che cadono a terra causando feriti. Nonostante la famiglia abbia vissuto in Israele per sei anni, e sia tornata spesso fino a due anni fa, questa è la prima volta che si trovano bloccati in un contesto così pericoloso e incerto.
“È la prima volta, dopo il 7 ottobre, che tornavamo, speravamo in una tregua, ma ora siamo qui senza sapere quando potremo tornare a casa”, conclude Giannalberto, dall’interno del rifugio mentre la sirena torna a suonare.






