Nel tardo pomeriggio del 1° ottobre, poco prima delle 19.30, le imbarcazioni della Global Sumud Flotilla, ormai prossime alla costa di Gaza, hanno ricevuto l’ordine di fermarsi da parte delle forze israeliane. Secondo quanto riferito dagli attivisti, il primo abbordaggio avrebbe avuto inizio a bordo della barca Alma.
Le rassicurazioni di Israele e la posizione italiana
A seguito dell’operazione, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha comunicato di aver ricevuto da Israele l’impegno a non ricorrere alla violenza durante le procedure di fermo. Ha spiegato inoltre che i cittadini italiani coinvolti saranno trasferiti in Israele e successivamente espulsi. L’eventuale detenzione dipenderà dagli interrogatori in corso, ma le procedure di sbarco dovrebbero concludersi entro la mezzanotte. Tajani ha aggiunto che, a causa dello Yom Kippur, il rimpatrio avverrà nell’arco di due giorni, con un volo diretto verso l’Europa.
I precedenti recenti
Il caso non è isolato. Nel luglio scorso, un episodio simile aveva coinvolto la nave Handala della Freedom Flotilla, con a bordo attivisti civili tra cui due italiani e due parlamentari francesi. In quell’occasione le forze israeliane intercettarono l’imbarcazione in acque internazionali e imposero all’equipaggio due possibilità: firmare una dichiarazione che prevedeva l’espulsione immediata attraverso l’aeroporto, oppure affrontare l’arresto e la detenzione, con successivo rimpatrio forzato entro pochi giorni.
Il caso Mavi Marmara: un punto di svolta
Il precedente più drammatico resta quello della nave Mavi Marmara, avvenuto il 31 maggio 2010. Sei navi di una flottiglia internazionale si trovavano in acque internazionali, circa 130 chilometri dalla costa israeliana, quando vennero abbordate dai commando israeliani. L’operazione più violenta si concentrò sulla Mavi Marmara, di proprietà turca. I militari scesero dagli elicotteri con funi e, subito dopo l’impatto a bordo, esplose lo scontro. Gli attivisti affermarono che i soldati aprirono il fuoco appena toccato il ponte, mentre Israele sostenne che i militari reagirono dopo essere stati aggrediti con coltelli, bastoni e persino una pistola sottratta a un commando. Una commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite non riuscì a stabilire con certezza il momento in cui vennero usate armi da fuoco.
Le vittime a bordo della Mavi Marmara
Dieci attivisti persero la vita, tutti di nazionalità turca, tra cui uno con doppio passaporto turco-statunitense. La flottiglia trasportava circa 10.000 tonnellate di aiuti: generatori elettrici, materiali edilizi, cancelleria scolastica. Oltre a consegnare beni di prima necessità, l’obiettivo dichiarato era denunciare la legittimità del blocco imposto da Israele ed Egitto su Gaza, ritenuto illegale dal punto di vista del diritto internazionale. L’iniziativa era organizzata da un coordinamento internazionale di associazioni, tra cui la ONG turca IHH, ritenuta da Israele legata a Hamas, ma riconosciuta dal governo di Ankara come ente umanitario.
La reazione internazionale e le inchieste
La comunità internazionale reagì con durezza. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU chiese un’inchiesta “imparziale e trasparente”, mentre l’allora segretario generale Ban Ki-moon sollecitò Israele a porre fine al blocco di Gaza. I rapporti di indagine successivi fornirono conclusioni contrastanti.
Il Consiglio per i diritti umani dell’ONU giudicò sproporzionata e brutale l’azione dei commandos, parlando di violazioni del diritto internazionale.
L’inchiesta turca accusò Israele di uso “premeditato ed eccessivo della forza”, rilevando che molte vittime furono raggiunte da più colpi a distanza ravvicinata, alcune addirittura alla testa.
Il rapporto israeliano sostenne invece la legalità del blocco e dell’operazione, pur ammettendo errori di pianificazione.
La commissione ONU Palmer del 2011 definì “inaccettabile” la perdita di vite umane e criticò l’eccessiva forza impiegata, ma al contempo riconobbe la legittimità del blocco come misura di sicurezza.
In ogni caso, rimase senza risposta il dato che molti attivisti fossero stati colpiti più volte, anche alle spalle. Inoltre, numerosi passeggeri denunciarono maltrattamenti, intimidazioni e confisca dei beni personali dopo la presa della nave.
La frattura diplomatica tra Israele e Turchia
L’incidente segnò la fine di un’alleanza storica. La Turchia richiamò il proprio ambasciatore, cancellò esercitazioni militari congiunte e chiese punizioni per Israele. Nel 2011, dopo la pubblicazione del rapporto Palmer, Ankara espulse l’ambasciatore israeliano. Nel 2012 un tribunale turco incriminò in contumacia quattro alti ufficiali israeliani per “omicidio con crudeltà”, accusa che Israele definì una mossa politica priva di valore legale.
La riconciliazione, sei anni dopo
Solo nel 2013 arrivò una svolta, favorita dall’intervento dell’allora presidente americano Barack Obama, che convinse Benjamin Netanyahu a telefonare a Recep Tayyip Erdoğan per esprimere rammarico e riconoscere “errori operativi” nella gestione dell’abbordaggio. Israele accettò di pagare compensazioni alle famiglie delle vittime e nel 2016 venne firmato un accordo di normalizzazione.
Il patto prevedeva 20 milioni di dollari di risarcimenti, l’impegno turco a bloccare azioni legali contro i militari israeliani e la possibilità per Ankara di inviare aiuti a Gaza attraverso porti israeliani. In cambio, Israele ottenne garanzie sul contenimento delle attività di Hamas in Turchia.
Le possibili conseguenze per gli italiani a bordo della Flotilla
Oltre all’espulsione da Israele, per i cittadini italiani resta aperta anche la questione giudiziaria al ritorno in patria. Secondo l’articolo 244 del codice penale, chi compie atti considerati ostili verso uno Stato estero, tali da esporre l’Italia al rischio di guerra, può essere punito con una pena da sei a diciotto anni di reclusione. In caso di conflitto effettivo, la norma prevede addirittura l’ergastolo.
Le basi giuridiche rivendicate da Israele
Dopo la vicenda della Mavi Marmara, Israele ha ribadito il proprio diritto a ricorrere alla forza per impedire violazioni del blocco marittimo imposto su Gaza. Tra i riferimenti utilizzati vi è il Manuale di Sanremo del 1994, che consente l’intercettazione di navi dirette verso aree sottoposte a blocco anche prima che vi giungano, purché siano state avvisate e abbiano manifestato l’intenzione di violarlo. A questo si aggiungono disposizioni contenute nel Manuale del Comandante sul Diritto delle Operazioni Navali della Marina statunitense, adottate anche da paesi come Stati Uniti e Regno Unito, che autorizzano l’attacco a imbarcazioni in alto mare qualora intendano infrangere un blocco navale.






