La mattina di mercoledì 1° ottobre le imbarcazioni della Global Sumud Flotilla, iniziativa internazionale di attivisti diretta a Gaza, hanno raggiunto un’area in cui in passato operazioni simili erano state fermate dall’esercito israeliano. La spedizione, sostenuta da organizzazioni e associazioni di oltre quaranta Paesi, mira a rompere il blocco navale imposto da Israele dal 2009. Sul sito ufficiale, i promotori la descrivono come un’azione non violenta, coordinata da piccole imbarcazioni, che vuole non solo consegnare aiuti ma lanciare un messaggio politico: «L’assedio e il genocidio devono finire». Durante il viaggio, gli equipaggi hanno denunciato interferenze elettroniche, droni e guasti sospetti ai motori, ma hanno comunque proseguito verso la Striscia.
Il dibattito in Italia sull’articolo 244
Nei giorni precedenti, sui social si è diffusa la tesi secondo cui i membri italiani dell’equipaggio starebbero violando l’articolo 244 del codice penale, che punisce con pene severissime chi compie “atti ostili verso uno Stato estero”. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha invitato gli attivisti a valutare la proposta del Patriarcato Latino di Gerusalemme, pronto a farsi garante della consegna degli aiuti per ridurre i rischi. Gli organizzatori hanno respinto l’offerta, sostenendo che accettarla svuoterebbe di significato simbolico l’intera missione. Dal canto loro, le autorità israeliane hanno intercettato svariate navi della flotta in acque internazionali.
Cosa prevede l’articolo 244
Il codice penale italiano stabilisce che chiunque, senza l’approvazione del governo, compie atti ostili contro uno Stato estero, esponendo l’Italia al pericolo di guerra, rischia da sei a diciotto anni di carcere; se lo scontro armato si verifica realmente, la pena può arrivare all’ergastolo. Se invece l’azione incrimina solo i rapporti diplomatici o espone lo Stato a rappresaglie, la pena varia da tre a dodici anni, che salgono fino a quindici in caso di rottura delle relazioni o effettive ritorsioni. La norma non riguarda però gesti puramente simbolici: la giurisprudenza richiede atti concreti, dotati di un certo grado di ostilità.
Quando si configura il reato
Come ricordato dal sito Pagella Politica, l’articolo 244 è un reato di pericolo: non serve che si producano realmente guerra o ritorsioni, basta che il rischio non sia remoto. È sufficiente il cosiddetto dolo generico, cioè la volontà di compiere un atto ostile senza autorizzazione governativa, accettando la possibilità di conseguenze diplomatiche o militari. Non si applica invece l’ipotesi dell’arruolamento, che riguarda l’ingaggio di soggetti armati. In passato la magistratura ha chiarito che la disobbedienza civile non violenta non basta a configurare “atti ostili” nel senso previsto dalla norma.
La posizione della Flotilla
Alla luce di queste condizioni, resta da chiedersi se la missione possa essere considerata penalmente rilevante. È certo che il governo italiano non l’ha autorizzata e che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni l’ha più volte criticata. Tuttavia, definire un’azione civile, disarmata e dichiaratamente umanitaria come “atto ostile” appare difficile. Gli attivisti non hanno mostrato alcuna volontà di resistere con la forza né di coordinarsi con una parte belligerante. Inoltre, non si sono verificati segnali di crisi diplomatica tra Italia e Israele tali da configurare un pericolo reale. Diverso sarebbe se la Flotilla rispondesse con violenza a eventuali controlli: in quel caso la fattispecie penale potrebbe astrattamente trovare applicazione.
Le acque di Gaza e il diritto internazionale
Un ulteriore nodo riguarda lo status delle acque di fronte a Gaza. Secondo la Convenzione ONU sul diritto del mare, i diritti sovrani si estendono fino a 12 miglia nautiche e le zone economiche esclusive fino a 200. La Palestina, che ha aderito alla Convenzione nel 2015, avrebbe dunque diritti su quell’area. Tuttavia, gli Accordi di Oslo del 1995 hanno mantenuto il controllo di sicurezza nelle mani di Israele. La Corte internazionale di giustizia ha ribadito nel 2024 che Israele non detiene sovranità sui territori palestinesi né sulle acque antistanti, ma il quadro resta complesso. Secondo diversi esperti, comunque, deve essere sempre garantito il diritto di passaggio inoffensivo.
La legalità del blocco navale
Il blocco imposto da Israele è un altro punto controverso. Il Manuale di San Remo del 1994 stabilisce le condizioni perché un blocco sia legittimo: deve essere dichiarato, effettivo, proporzionato e non può affamare i civili né ostacolare gli aiuti umanitari. Sulla base di questi criteri, le valutazioni internazionali sono state divergenti. La Commissione ONU sull’assalto alla “Mavi Marmara” del 2010 lo ritenne lecito, mentre il Consiglio per i Diritti umani lo giudicò illegale. Più recentemente, altri organi delle Nazioni Unite hanno denunciato come il blocco violi il diritto umanitario internazionale, poiché impedisce l’accesso a beni essenziali per la popolazione di Gaza.
L’articolo 244, una norma tra diritto e politica
Il diritto internazionale e quello penale interno non sempre coincidono. Anche se il blocco fosse ritenuto illegittimo dalle istituzioni internazionali, ciò non escluderebbe l’applicabilità dell’articolo 244 in presenza di atti ritenuti ostili. La norma, infatti, protegge la sicurezza dei rapporti esterni dell’Italia, non il giudizio di legittimità internazionale delle azioni. In sintesi, al momento non sembrano esserci le condizioni per qualificare le azioni della Flotilla come una violazione del codice penale italiano, ma la questione rimane sospesa tra valutazioni giuridiche ed equilibri diplomatici.
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