New York, 29 ottobre 2025 – Francesca Albanese, relatrice speciale indipendente delle Nazioni Unite per la Palestina, ha presentato un rapporto di 24 pagine denunciando la complicità di 63 Stati nel genocidio israeliano nella Striscia di Gaza. Nel corso della presentazione alla terza commissione dell’Assemblea Generale dell’Onu, Albanese ha accusato questi Paesi di essere complici di un “crimine collettivo” e ha chiesto un nuovo multilateralismo per prevenire il ripetersi di tali atrocità.
Il ruolo degli Stati complici nel genocidio a Gaza
Il rapporto di Albanese evidenzia come Israele abbia lasciato Gaza “strangolata, affamata, distrutta” e come la complicità di numerosi Stati, in particolare occidentali, abbia favorito questa situazione. Il documento sottolinea il ruolo degli Stati Uniti, che hanno fornito una copertura diplomatica essenziale, utilizzando il veto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu per bloccare risoluzioni di cessate il fuoco. Oltre agli Usa, anche Regno Unito, Australia, Canada, Germania e Paesi Bassi hanno contribuito con astensioni o ritardi che hanno ostacolato azioni concrete.
Il rapporto classifica il sostegno diviso in quattro aree principali: diplomatico, militare, economico e umanitario. In particolare, molti Paesi europei hanno fornito armamenti e componenti militari cruciali per l’offensiva israeliana, tra cui Stati Uniti, Germania, Italia e altri. Nonostante le risoluzioni Onu che dal 1976 chiedono un embargo sulle armi, la fornitura è continuata, con un aumento delle esportazioni militari israeliane soprattutto verso l’Unione Europea e l’Asia.
Implicazioni economiche e aziendali del sostegno a Israele
Il rapporto denuncia anche il coinvolgimento di circa 48 grandi aziende internazionali, tra cui produttori di armi, società tecnologiche, imprese edili e banche, che hanno materialmente sostenuto l’espansione israeliana e l’attuazione del genocidio a Gaza. Queste società hanno fornito armi, macchinari per demolizioni e tecnologie avanzate come droni e sistemi di difesa, contribuendo alla militarizzazione dei territori occupati.
Inoltre, molte aziende hanno beneficiato del commercio con Israele, che ha continuato a crescere nonostante il conflitto. Alcuni Paesi arabi, come Emirati Arabi Uniti ed Egitto, hanno aumentato i rapporti commerciali, mentre solo la Turchia ha sospeso il commercio nel 2024. Il settore finanziario internazionale, comprese grandi banche e fondi pensione, è risultato coinvolto nel finanziamento delle attività israeliane.
Albanese ha esortato gli Stati a imporre sanzioni e un embargo totale sulle armi a Israele, chiedendo inoltre alle aziende di sospendere le attività e di risarcire il popolo palestinese. Le sue denunce hanno suscitato forti reazioni, tra cui sanzioni da parte degli Stati Uniti contro la stessa relatrice.
La reazione dell’Italia
L’ambasciatore italiano presso l’Onu, Maurizio Massari, ha definito il dossier “totalmente privo di credibilità e imparzialità” e ha sottolineato come il contenuto del rapporto “eccede palesemente il mandato specifico” assegnato alla relatrice, che non include indagini su presunti abusi commessi da altri Stati o entità, né giudizi sulla cooperazione tra Paesi terzi e la Corte Penale Internazionale (CPI).
L’ambasciatore ha richiamato l’attenzione sul fatto che il codice di condotta impone ai relatori di separare le opinioni politiche personali dall’esecuzione della loro missione, raccomandando moderazione e discrezione per tutelare l’indipendenza del mandato. “Vi sono ampie prove online e nelle sue interviste che Francesca Albanese non può essere considerata imparziale”, ha affermato Massari, evitando però di commentare nel dettaglio il dossier. Ha inoltre interrogato la relatrice chiedendo se “ritiene che questo rapporto e il dibattito odierno contribuiscano a sostenere gli attuali sforzi per la pace e la ricostruzione a Gaza o ad alleviare le sofferenze dei civili”. Ha concluso con un monito: “Sarebbe un tragico paradosso se l’Onu fosse percepita come un’organizzazione che mina la pace anziché promuoverla”.






