Messina, 3 settembre 2025 – La questione dell’inclusione delle spese per la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina nel computo delle spese militari della NATO continua a far discutere, con una netta presa di posizione da parte degli Stati Uniti. Nel frattempo, emergono nuovi dettagli sul progetto infrastrutturale e sulle sue implicazioni economiche e strategiche.
Usa e NATO: no all’inserimento tra le spese militari del ponte sullo Stretto
L’ambizioso tentativo del governo italiano di far rientrare i fondi, stimati in circa 13,5 miliardi di euro, destinati al ponte sullo Stretto tra le spese militari utilizzate per raggiungere l’obiettivo NATO del 5% del PIL trova la ferma contrarietà degli Usa. In un’intervista rilasciata all’agenzia Bloomberg, l’ambasciatore USA presso la NATO, Matthew Whitaker, ha sottolineato che non si approvano “contabilità creative” per contabilizzare spese infrastrutturali civili come militari, ribadendo l’importanza che la soglia del 5% si riferisca strettamente a spese di difesa e correlate. La proposta, che prevede di inserire il Ponte sullo Stretto e altre opere come la diga foranea di Genova nel segmento dell’1,5% del PIL dedicato alla “sicurezza”, è quindi sotto stretta osservazione e giudicata inappropriata da Washington.
Caratteristiche tecniche e storia del progetto
Il progetto del ponte sospeso sullo Stretto di Messina prevede un’opera di 3.666 metri di lunghezza complessiva, con una campata centrale di 3.300 metri, la più lunga mai progettata al mondo. Il ponte, che collegherà i comuni di Messina e Villa San Giovanni, sarà progettato in acciaio, con un’altezza delle torri di 399 metri e una carreggiata composta da due strade e una sede ferroviaria con sei corsie totali. L’opera, concepita fin dagli anni ’70 e aggiornata recentemente da COWI nel 2023-2024, è stata sospesa nel 2013 per motivi economici, ma il governo Meloni ne ha rilanciato la realizzazione con il decreto-legge n. 35/2023.
Aspetti economici e sostenibilità finanziaria
Secondo un’analisi del Centro studi di Unimpresa, nonostante il pedaggio previsto per il transito, in media 15 euro per veicolo (10 per auto, 20 per camion), i ricavi da traffico stradale e ferroviario, stimati tra 535 e 800 milioni di euro annui, copriranno solo il 23% dell’investimento in 30 anni. L’utile operativo previsto è di circa 100 milioni all’anno, insufficiente a coprire l’intero costo di 13,5 miliardi. Per questo, sarà necessario integrare i ricavi con “entrate accessorie” come servizi logistici e attività commerciali, oltre a contributi pubblici statali o europei.
L’indotto economico per le regioni interessate, Sicilia e Calabria, si prevede modesto: circa 0,5 miliardi di euro annui, con un impatto sul PIL regionale inferiore all’1% in Sicilia e tra l’1,4% e il 2,3% in Calabria. Il successo finanziario dell’opera dipenderà fortemente dalla capacità di sviluppare un ecosistema logistico integrato con porti modernizzati, terminal intermodali e infrastrutture ferroviarie ad alta capacità, fondamentali per sostenere un traffico merci consistente.
Ponte sullo stretto, una sfida politica e strategica
L’opera, oltre a rappresentare un collegamento fondamentale tra Sicilia e continente, ha anche un valore strategico per la mobilità militare, secondo quanto evidenziato dal ministero della Difesa italiano. Tuttavia, il ruolo che il Ponte sullo Stretto potrà avere nel contesto della difesa europea rimane controverso, soprattutto alla luce delle osservazioni USA e delle rigidità nei criteri NATO per la contabilizzazione delle spese.
Il progetto, affidato al consorzio Eurolink con capofila Webuild, prevede di avviare i cantieri entro l’estate 2026, ma resta da vedere come si evolverà il dibattito politico e diplomatico, soprattutto in relazione alla definizione delle spese di difesa e sicurezza a livello europeo e atlantico.






