Tokyo, 18 giugno 2025 – Il premier giapponese Shigeru Ishiba ha confermato oggi il significativo impatto dei dazi statunitensi su molte aziende nipponiche, in particolare sul settore automobilistico, pur ribadendo la volontà di non affrettare un accordo commerciale che possa danneggiare gli interessi nazionali. Le sue dichiarazioni sono arrivate al termine della partecipazione al vertice del G7 in Canada, dove si è discusso anche delle tensioni commerciali globali.
Dazi Usa, Ishiba: “Effetti profondi sull’economia globale”
Ishiba ha sottolineato che le misure tariffarie imposte dagli Stati Uniti potrebbero avere un “profondo effetto sull’economia globale, sia diretto che indiretto”. I dazi americani, rivolti a vari settori, rappresentano un ostacolo per le imprese nipponiche, ma il premier ha espresso fermezza nel voler evitare accordi affrettati che rischierebbero di compromettere la sovranità economica del Giappone.
I negoziati bilaterali con Washington si sono svolti più volte a livello ministeriale, toccando temi come l’aumento degli scambi commerciali e la cooperazione in ambito militare, con un focus particolare sulla dipendenza dal gas liquefatto statunitense in sostituzione di quello russo. Tuttavia, nonostante il mancato accordo nel recente mini-vertice con il presidente americano Donald Trump, Ishiba ha evidenziato che permangono “ostacoli” significativi.
Scenario politico e prospettive economiche per il Giappone
Il premier Ishiba, in carica dal 1° ottobre 2024 e leader del Partito Liberal Democratico, dovrà affrontare un difficile contesto politico dopo la perdita della maggioranza assoluta alla Camera dei rappresentanti nelle elezioni di ottobre 2024, sebbene la coalizione di governo resti il blocco più grande.
Nonostante ciò, il Giappone si conferma uno dei Paesi meno vulnerabili agli effetti dei dazi americani, grazie alla strategia di delocalizzazione produttiva e alle solide relazioni geopolitiche. Settori chiave come l’automotive, con realtà come Honda e Toyota che producono localmente negli Stati Uniti, risultano meno esposti rispetto ai concorrenti americani.






