Nel contesto della nuova legge di Bilancio, il Governo italiano ha introdotto una misura volta a velocizzare il pagamento del TFS/TFR ai dipendenti pubblici, da sempre afflitti da lunghissimi tempi di attesa che possono superare i cinque anni. Tuttavia, questa novità legislativa, pur garantendo un anticipo entro tre mesi dal pensionamento, comporta una perdita economica significativa per molti lavoratori, denunciata con forza dalla CGIL.
Anticipo del TFS/TFR: l’allarme per i dipendenti pubblici
A partire dal 2027, grazie a un pacchetto da circa 550 milioni di euro e a una nuova linea di credito attivata da Cassa Depositi e Prestiti, l’Inps potrà anticipare fino a 50mila euro delle somme dovute ai pensionati del pubblico impiego entro appena tre mesi dal pensionamento. Questa misura, inserita nell’articolo 44 della manovra, intende rispondere alla sentenza n. 130/2023 della Corte costituzionale, che aveva richiamato il legislatore a eliminare la disparità nei tempi di liquidazione tra pubblico e privato. Tuttavia, il Governo ha limitato l’anticipo solo alle pensioni di vecchiaia, senza intervenire sui lunghissimi differimenti e sulla rateizzazione che può protrarsi fino a sette anni.
La perdita della detassazione e l’impatto economico sui lavoratori
Il principale effetto collaterale di questa anticipazione è l’abrogazione del beneficio fiscale della detassazione, pari a circa 750 euro, concesso per i pagamenti effettuati dopo almeno dodici mesi dalla cessazione del servizio. Con il pagamento anticipato a nove mesi, i lavoratori non matureranno più questo diritto, determinando un maggior gettito fiscale di circa 22,6 milioni di euro annui a fronte di 30.122 pensionamenti di vecchiaia stimati. La detassazione, prevista dall’articolo 24 del decreto-legge n. 4/2019, rappresentava una compensazione parziale per il danno economico derivante dal differimento prolungato del TFS/TFR.
La CGIL, insieme alle categorie della conoscenza (Flc), della funzione pubblica (Fp) e dei pensionati (Spi), ha definito questa manovra un’operazione “di facciata” che non risolve il problema strutturale ma anzi aggrava la condizione economica dei lavoratori pubblici. Per il sindacato, infatti, il passaggio a un anticipo di tre mesi “sottrae risorse ingenti a chi ha già subito penalizzazioni importanti”, aggravate anche dalla perdita del potere d’acquisto delle liquidazioni, che a causa dell’inflazione e del mancato rendimento possono tradursi in una perdita tra i 17mila e i 41mila euro, a seconda della retribuzione percepita.
Critiche sindacali e mancata risposta alle esigenze strutturali
Ezio Cigna, responsabile politiche previdenziali della CGIL, ha sottolineato come la misura non rispetti gli auspici della Corte Costituzionale, che auspicava un intervento strutturale e significativo per ridurre i tempi di corresponsione e riequilibrare il trattamento tra pubblico e privato. L’anticipo di soli tre mesi, limitato alle pensioni di vecchiaia, lascia infatti immutati i lunghi differimenti e la possibilità di rateizzare fino a sette anni, mantenendo intatte le disparità e le discriminazioni denunciate.
La relazione tecnica della manovra evidenzia un maggior onere per lo Stato nel 2027 pari a 321 milioni di euro lordi, ma questo costo è parzialmente compensato dal maggior gettito fiscale derivante dalla perdita della detassazione. La misura, quindi, si configura come un intervento finanziariamente neutro o addirittura vantaggioso per le casse pubbliche, a discapito dei lavoratori.
Il confronto tra Governo e sindacati rimane acceso, con la CGIL che invita a un ripensamento della normativa per garantire una reale tutela economica e sociale ai dipendenti pubblici in uscita dal lavoro, superando la mera accelerazione burocratica e affrontando le cause strutturali del ritardo nel pagamento del TFS/TFR.






