La firma, per ora, resta nel cassetto. Quella che doveva essere la settimana decisiva per il commercio internazionale tra Europa e Sudamerica si è conclusa con una brusca frenata che sposta ogni decisione al nuovo anno. In una serata carica di tensione diplomatica, la Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha dovuto comunicare ai leader dei ventisette stati membri una scelta sofferta ma inevitabile: il rinvio ufficiale del sigillo sull’accordo con il Mercosur. Sebbene l’appuntamento fosse inizialmente fissato per sabato 20 dicembre, le pressioni congiunte di alcune delle principali economie del Vecchio Continente hanno convinto i vertici di Bruxelles a posticipare l’evento a gennaio, cercando così di evitare una rottura insanabile con il mondo produttivo interno.
L’asse franco-italiano blocca i negoziati sul Mercosur
Il cambio di rotta è maturato nel corso di un pomeriggio convulso, durante il quale Palazzo Chigi ha deciso di mettere ufficialmente in pausa l’intesa. Questa mossa ha sancito una sintonia d’intenti particolarmente solida tra la premier Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron, entrambi concordi sulla necessità di non procedere al buio. La posizione espressa dall’esecutivo italiano è stata netta: prima di apporre qualsiasi firma su un trattato di tale portata, è indispensabile ottenere garanzie ferree sulla reciprocità delle regole e risposte concrete alle istanze sollevate dal comparto agricolo. La richiesta di tempo supplementare serve dunque a verificare che le condizioni di mercato non penalizzino eccessivamente i produttori europei rispetto ai competitor sudamericani.
Una città sotto assedio tra trattori e proteste
Mentre all’interno delle sale istituzionali si discuteva del destino dei mercati globali e della gestione degli asset russi, l’aria esterna si faceva densa di fumo e malcontento. Circa ottomila manifestanti, supportati da quasi mille mezzi agricoli, hanno invaso le strade di Bruxelles trasformando il quartiere europeo in una zona di assedio.

Agricoltori provenienti non solo dal Belgio e dalla Francia, ma anche dall’Italia, dalla Polonia e dall’Irlanda, hanno manifestato con forza contro una duplice minaccia: da un lato l’accordo commerciale con i paesi del Mercosur e dall’altro i paventati tagli alla Politica Agricola Comune (PAC) previsti nel prossimo bilancio dell’Unione. Il fragore dei clacson e l’odore acre dei fuochi hanno reso visibile e tangibile una preoccupazione che da mesi cova nelle campagne di tutto il continente.
La sorpresa di Lula e le rassicurazioni di Roma
Dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, il fronte sudamericano ha accolto la notizia con evidente stupore. Luiz Inácio Lula da Silva, parlando a nome del blocco che comprende anche Argentina, Uruguay, Paraguay e Bolivia, non ha nascosto la sua meraviglia nel constatare l’opposizione frontale di Italia e Francia proprio nelle fasi finali del processo. Tuttavia, un filo di dialogo sembra essere rimasto aperto grazie a un colloquio diretto tra il leader brasiliano e Giorgia Meloni. La premier italiana avrebbe spiegato al collega come la sua posizione non sia di chiusura ideologica, bensì dettata dalla necessità di gestire la forte pressione sociale che arriva dal mondo agricolo. Una richiesta di pazienza che oscilla tra una settimana e un mese, utile a trovare clausole di salvaguardia più robuste capaci di calmare le piazze europee.
Mercosur, il muro della Commissione e lo scontro sui conti
Nonostante la mediazione politica, a Bruxelles la linea resta improntata alla difesa dell’operato fin qui svolto. Ursula von der Leyen, supportata da quattro commissari, continua a sostenere che le tutele inserite nel testo siano già sufficienti e che l’accordo abbia già ricevuto i primi via libera tecnici necessari. Per i sostenitori del trattato, tra cui spiccano Germania e Spagna, chiudere questa partnership dopo ventisei anni di trattative è una priorità strategica per diversificare l’approvvigionamento commerciale e creare uno scudo contro le possibili politiche daziarie della futura amministrazione Trump. Eppure, il rinvio a gennaio è apparso come l’unica via d’uscita per evitare il collasso politico, sfruttando la finestra temporale che precede il passaggio della presidenza del Mercosur dal Brasile al Paraguay.
Guerriglia urbana e simboli abbattuti
La tensione nelle strade ha raggiunto l’apice quando le frange più estreme dei manifestanti hanno dato vita a scontri diretti con le forze dell’ordine. Tra trattori addobbati con luci natalizie e bandiere nazionali, la protesta si è trasformata in un conflitto a Place du Luxembourg. La polizia ha dovuto ricorrere all’uso di idranti e lacrimogeni per contenere la folla, mentre le immagini del grande albero di Natale della piazza abbattuto e dato alle fiamme diventavano il simbolo iconico di una frattura profonda tra le istituzioni e i cittadini. Le autorità di Bruxelles hanno confermato la massiccia adesione all’evento, evidenziando come la promessa di tornare a farsi sentire sia stata ampiamente mantenuta in coincidenza con il Consiglio Europeo.
Perché il Mercosur preoccupa gli agricoltori europei?
Al centro della rabbia agricola non c’è solo il commercio con l’estero, ma anche il timore per il futuro economico del settore in Europa. Il nuovo bilancio pluriennale 2028-2034 è finito sul banco degli imputati per la proposta di accorpare fondi distinti, una mossa che secondo molti analisti porterebbe a una drastica riduzione delle risorse destinate alla produzione alimentare. I rappresentanti di Coldiretti e di altre sigle europee hanno denunciato quella che definiscono una concorrenza sleale: l’importazione di prodotti coltivati con standard inferiori rispetto a quelli rigorosissimi imposti alle aziende italiane. La richiesta di una reciprocità totale appare come l’unico modo per evitare che l’agroalimentare, colonna portante dell’export europeo, venga sacrificato per favorire altri comparti industriali o per finanziare la riconversione tecnologica e militare.
Difendere l’eccellenza produttiva in un’Europa che cambia
Il grido d’allarme che arriva dal mondo agricolo riguarda la sopravvivenza di un patrimonio che, solo per l’Italia, genera valori economici immensi e occupa milioni di persone. La preoccupazione è che l’Unione Europea stia invertendo la rotta proprio mentre il resto del mondo investe massicciamente nella produzione di cibo e nell’innovazione rurale. Oltre ai settori tradizionali, anche i comparti più specifici come quello del tabacco lamentano un approccio penalizzante sia sul fronte delle politiche agricole che su quello fiscale. La sfida che attende i leader europei a gennaio sarà dunque quella di bilanciare le ambizioni di apertura globale con la protezione di un tessuto produttivo che chiede di non essere dimenticato in nome degli equilibri geopolitici.
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