Roma, 22 dicembre 2025 – Con la quarta legge di bilancio, l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni mette definitivamente da parte l’ipotesi di una riforma delle pensioni: la manovra per il 2026 conferma l’impianto della legge Fornero, restringe ulteriormente le possibilità di uscita anticipata e interviene solo in modo marginale sugli assegni più bassi. Anche l’impegno a fermare l’innalzamento dell’età pensionabile legato alla speranza di vita viene rispettato solo parzialmente.
Manovra pensioni, addio a quota 103 e Opzione Donna
Escono di scena Quota 103 e Opzione donna, mentre resta in vigore l’Ape sociale. Gli aumenti per le pensioni minime si limitano a tre euro, quelli per gli assegni sociali a dodici. Cambiano inoltre le regole della previdenza complementare: maggiore flessibilità in uscita, ma minori benefici fiscali. Per i giovani viene introdotto il silenzio-assenso sul Tfr, senza però la possibilità di utilizzarlo per anticipare la pensione pubblica.
Nella legge di bilancio 2026 non vengono prorogate le forme “speciali” di pensionamento anticipato. Quota 103 viene eliminata, mentre Opzione donna scompare definitivamente dopo quasi vent’anni. L’unica misura confermata è l’Ape sociale, prorogata per un altro anno. Si tratta però di un sostegno temporaneo e selettivo, non di una pensione vera e propria, riservato a specifiche categorie. Per la maggioranza dei lavoratori restano solo i requisiti ordinari previsti dalla Fornero.
Dal 1° gennaio 2026 le pensioni minime salgono di 3,13 euro al mese, raggiungendo i 619,8 euro, per effetto dell’adeguamento all’inflazione e senza modifiche strutturali. Più consistente l’aumento degli assegni sociali maggiorati, che crescono di 12 euro dopo l’incremento di 8 euro già previsto per quest’anno. La platea interessata è però molto più ridotta: 1,5 milioni di beneficiari contro i 2,3 milioni delle pensioni integrate al minimo.
Speranza di vita: blocco limitato
L’adeguamento automatico all’aspettativa di vita non viene realmente fermato. Dal 2027 i requisiti aumenteranno di un mese, che diventerà due nel 2028. La sospensione annunciata per mesi si traduce in una deroga molto circoscritta, destinata solo a una platea ristretta di lavoratori già protetti. Per tutti gli altri, l’età di uscita continua a slittare in avanti.
Bonus Maroni confermato
Resta in vigore il bonus Maroni: chi decide di posticipare il pensionamento può ricevere in busta paga i contributi previdenziali a proprio carico. La misura non incide sui requisiti di accesso e interessa soprattutto lavoratori con carriere stabili e redditi medio-alti. L’obiettivo rimane quello di disincentivare l’uscita anticipata.
Comparti sicurezza: requisiti più alti dal 2028
La manovra interviene anche su forze armate e polizia. L’innalzamento dell’età pensionabile viene confermato, ma la sua entrata in vigore è rinviata al 2028, dopo le proteste dei comparti interessati.
Dipendenti pubblici: Tfs più rapido ma più tassato
Per i lavoratori statali si riducono di tre mesi i tempi di attesa per la prima rata di Tfs/Tfr. Tuttavia, scendendo sotto i dodici mesi, viene meno lo sconto fiscale introdotto nel 2019 per compensare i ritardi nella liquidazione. La perdita media stimata è di circa 750 euro a persona. Restano invariati sia i lunghi rinvii sia la rateizzazione fino a sette anni.
Giovani: Tfr ai fondi, ma senza anticipo Inps
Dal 1° luglio 2026 i lavoratori del settore privato alla prima assunzione, in prevalenza giovani, vedranno il Tfr confluire automaticamente nei fondi pensione se non esercitano l’opposizione entro 60 giorni, attraverso il meccanismo del silenzio-assenso. Contestualmente viene eliminata la possibilità, introdotta solo un anno fa, di cumulare la rendita del fondo con la pensione Inps per raggiungere la soglia dell’anticipo contributivo a 64 anni.
Il versamento nei fondi diventa quindi obbligato, ma inutilizzabile per uscire prima. A farne le spese sono soprattutto i lavoratori “post-1996”, per i quali resta molto elevata la soglia per l’anticipo: 3,2 volte l’assegno sociale, circa 1.700 euro.
Fondi pensione: maggiore flessibilità, meno agevolazioni
Con l’articolo 45-bis la manovra modifica anche le regole della previdenza complementare. Dal 2026 la deducibilità dei contributi aumenta leggermente, passando da 5.164,57 a 5.300 euro annui. Cambia inoltre la gestione del Tfr conferito in modo tacito: non sarà più destinato automaticamente alla linea più prudente, ma a percorsi differenziati in base all’età e all’orizzonte temporale.
La novità più rilevante riguarda le modalità di uscita. Oltre al capitale e alla rendita vitalizia, vengono introdotte nuove forme di “decumulo”: prelievi flessibili, rendite a durata definita ed erogazioni frazionate per almeno cinque anni. In cambio aumenta la tassazione: l’aliquota sulle nuove prestazioni sale dal 15% al 20%, con riduzioni molto limitate. Inoltre, le somme erogate dai fondi non potranno più essere utilizzate per raggiungere i requisiti della pensione anticipata contributiva, sancendo una separazione netta tra previdenza pubblica e complementare.
Il quadro complessivo
La legge di bilancio 2026 ribadisce una linea precisa: più permanenza al lavoro, meno anticipo e minore flessibilità. La legge Fornero resta il pilastro del sistema e viene ulteriormente irrigidita. Tra misure cancellate, promesse ridimensionate e rinvii a futuri decreti, la previdenza italiana rimane priva di una riforma organica. I principali nodi strutturali – giovani, carriere discontinue, lavori gravosi e divari di genere – restano irrisolti.






