Roma, 11 dicembre 2025 – La Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL) torna a puntare i riflettori sulle profonde disparità salariali che caratterizzano il mercato del lavoro nel Mezzogiorno. Secondo un recente studio dell’ufficio economia della CGIL, basato sui dati Inps del settore privato, quasi la metà dei lavoratori del Sud percepisce un salario lordo annuo inferiore ai 15mila euro, una soglia che corrisponde a circa 1.100 euro netti al mese.
Il divario salariale nel Mezzogiorno
L’analisi evidenzia un salario lordo medio nazionale di 24.486 euro annui, mentre nel Sud Italia la cifra scende a 18.148 euro, con un divario di quasi il 26% rispetto alla media nazionale. Nel dettaglio, il 47,3% dei lavoratori nel Meridione, pari a circa 2,1 milioni di persone, rientra nella fascia di reddito fino a 15mila euro lordi annui.
Questa situazione è aggravata da fattori strutturali come un minor numero di giornate lavorative retribuite all’anno (228 contro 247 a livello nazionale), un’incidenza maggiore di attività economiche a bassa retribuzione e un’alta presenza di lavoro atipico: nel Sud il lavoro a termine riguarda il 34,5% dei lavoratori (contro il 26,7% nazionale), il part-time il 43,6% (33% nazionale) e il lavoro discontinuo il 56,5% (45,6% nazionale). Inoltre, il tasso di occupazione femminile è più basso rispetto al resto del Paese.
Christian Ferrari, segretario confederale della CGIL, definisce questa realtà un’“emergenza nell’emergenza” e sottolinea come l’aumento dell’occupazione riguardi quasi esclusivamente gli over 50, spinto dall’innalzamento dell’età pensionabile e trainato da settori a basso valore aggiunto, caratterizzati da lavoro povero e sfruttamento. “È necessario superare le gabbie salariali che di fatto esistono già”, afferma Ferrari, rimarcando che il governo, al contrario, non sta affrontando adeguatamente il problema.
Le iniziative della CGIL e il contesto del lavoro povero
Per sollecitare una risposta politica concreta, la CGIL ha indetto uno sciopero generale per il 12 dicembre, chiedendo interventi mirati nella prossima manovra di bilancio. La questione salariale nel Sud è infatti strettamente legata anche a fenomeni di sfruttamento come il caporalato, particolarmente diffuso nei settori agricolo e edilizio, dove si stima che centinaia di migliaia di lavoratori, molti dei quali migranti, siano vittime di condizioni di lavoro degradanti e illegali.
Recentemente, la CGIL ha promosso la campagna “STOPCAPORALATO”, con una proposta di legge per fare del caporalato un reato penale, superando la sanzione amministrativa attuale di 50 euro per ogni lavoratore ingaggiato. Le categorie degli edili (Fillea) e dell’agricoltura (Flai) denunciano che circa 550mila lavoratori italiani sono sottoposti a questo sfruttamento, con condizioni di vita spesso disumane.
La lotta della CGIL si estende anche al settore dei rider, dove nel Nord Italia, e in particolare in Veneto, molti giovani e migranti subiscono condizioni di lavoro precarie con paghe misere e forte reticenza a rivolgersi ai sindacati per paura di perdere l’impiego. Nonostante alcuni progressi, come l’assunzione di rider con contratti regolari da parte di alcune piattaforme, la situazione resta critica.
In questo quadro, la CGIL ribadisce la necessità urgente di affrontare la questione salariale e di lavoro povero con politiche che garantiscano redditi dignitosi e tutele effettive per tutti i lavoratori, in particolare nel Mezzogiorno.






