Milano, 16 dicembre 2025 – Nel dibattito contemporaneo sull’educazione e lo sviluppo infantile, emerge con crescente forza l’importanza di lasciare che i bambini trascorrano più tempo da soli, un’esperienza cruciale per la crescita dell’autonomia emotiva e cognitiva. La riflessione si intreccia con un’analisi culturale e psicologica che riscopre il valore della solitudine infantile, spesso ostacolata da preoccupazioni e modelli di genitorialità iperprotettivi.
La solitudine dei bambini come strumento di crescita
La solitudine infantile è da tempo soggetta a restrizioni crescenti: le preoccupazioni degli adulti, il controllo genitoriale intenso e l’urbanizzazione hanno ridotto drasticamente le occasioni in cui i bambini possono sperimentare momenti di isolamento volontario e non sorvegliato. Questo fenomeno è comune in molti paesi occidentali e si accompagna alla diffusione del modello dei cosiddetti “genitori elicottero”, che tendono a programmare ogni attimo della giornata dei figli, limitandone le esperienze autonome.
La pandemia di Covid-19 ha accentuato questa tendenza, aumentando l’ansia dei genitori circa la socializzazione dei figli, ma la letteratura scientifica evidenzia che la solitudine è fondamentale per lo sviluppo. Solo nel tempo in cui i bambini restano da soli, senza aspettative sociali immediate, possono infatti elaborare emozioni complesse, sviluppare concentrazione, creatività e capacità di risoluzione dei problemi. Lo psicologo canadese Robert J. Coplan, esperto di psicologia dello sviluppo, ha sottolineato come la solitudine permetta ai bambini di “vivere temporaneamente fuori scena”, uno stato opposto all’interazione digitale che spesso li coinvolge.
Dall’esperienza di Calvin & Hobbes alla realtà odierna
L’importanza del tempo trascorso da soli emerge anche in ambito culturale e artistico, come illustrato nella celebre striscia a fumetti Calvin & Hobbes, ideata da Bill Watterson e pubblicata tra il 1985 e il 1995. Calvin, un bambino di sei anni, e la sua tigre di pezza Hobbes rappresentano l’universo fantastico di un bambino che spesso si rifugia nella solitudine per immaginare avventure, riflettere o affrontare emozioni difficili.
Oggi, però, un’attività come quella di Calvin — lanciarsi con un carretto in discesa senza controllo, senza alcuna sorveglianza — sarebbe difficilmente accettata, un segno di come la percezione della sicurezza infantile sia mutata profondamente. Watterson, celebre per aver rifiutato qualsiasi forma di merchandising per preservare l’integrità artistica della sua opera, ha raccontato un’epoca in cui il gioco solitario e autogestito era parte integrante della crescita. La serie ha venduto oltre 30 milioni di copie e continua a essere un punto di riferimento culturale per il valore dell’immaginazione e dell’autonomia infantile.
I bambini: tra iperprotezione e spazio digitale
Negli ultimi decenni, la progressiva urbanizzazione e la paura per la sicurezza dei bambini hanno portato a una diminuzione drastica della loro indipendenza. I dati mostrano che fin dagli anni Settanta i bambini vanno meno spesso da soli a scuola o a giocare all’aperto, con un aumento della dipendenza dagli adulti e dai mezzi di trasporto motorizzati.
Parallelamente, il tempo trascorso davanti a smartphone e dispositivi digitali è aumentato, alimentando una sorta di solitudine virtuale. Come osserva l’antropologa cognitiva Eli Stark-Elster, questo “spazio digitale” è diventato in molti casi l’unico luogo in cui i bambini possono sperimentare una forma di autonomia lontano dalla sorveglianza fisica degli adulti. Tuttavia, questa realtà è un controsenso: mentre nella vita reale i bambini sono iperprotetti, nel mondo digitale sono spesso privi di supervisione, con implicazioni negative per la loro salute mentale e capacità di attenzione.
Nonostante ciò, un sondaggio recente realizzato dalla società The Harris Poll negli Stati Uniti rivela che quasi il 75% dei bambini tra gli 8 e i 12 anni preferisce trascorrere il tempo libero in compagnia reale piuttosto che davanti a uno schermo, un dato che suggerisce come la solitudine vissuta in modo sano e creativo resti un bisogno innato e desiderato.
Un bisogno ancestrale e universale
L’esperienza della solitudine non è una novità né una caratteristica esclusiva della società contemporanea. Studi antropologici documentano che molte culture tradizionali, come quella degli Aka nel Congo, permettono ai bambini di esplorare l’ambiente e imparare da soli, anche attraverso attività potenzialmente rischiose ma formative. Questo bisogno di autonomia e di spazio privato per elaborare emozioni e apprendere è quindi radicato nella storia dell’umanità e non può essere ignorato nella riflessione educativa odierna.
Lasciare spazio alla solitudine infantile significa restituire ai bambini la possibilità di sviluppare un’autentica autonomia emotiva e cognitiva, un passo fondamentale per crescere in modo equilibrato e creativo.






