Nell’inchiesta sull’uccisione di Charlie Kirk, un particolare ha attirato l’attenzione degli investigatori e, con essa, dell’opinione pubblica internazionale. Tra i proiettili caricati nel fucile dell’attentatore, infatti, ne sono stati trovati due con iscrizioni inequivocabili: uno recava la frase “Hey fascist”, l’altro le parole “Bella ciao, bella ciao ciao ciao”. Un dettaglio che rimanda a un immaginario politico ben preciso e che riporta sotto i riflettori una delle canzoni più iconiche del Novecento italiano, oggi conosciuta e cantata in ogni angolo del mondo.
Bella Ciao, le origini lontane dalla Resistenza
Sebbene oggi venga percepita come l’inno partigiano per eccellenza, “Bella ciao” non fu mai realmente cantata durante la lotta di liberazione tra il 1943 e il 1945. Le sue radici sono da cercare altrove, nel repertorio popolare delle mondine emiliane e lombarde, le lavoratrici delle risaie che intonavano canti di fatica e protesta. Solo nel Dopoguerra il brano fu adattato e reinterpretato: la versione “partigiana” vide la luce nel 1947, al Festival mondiale della gioventù democratica di Praga, dove cominciò a diffondersi attraverso i circuiti internazionali della sinistra e del folklore politico. Bisognerà attendere il 1953 perché il testo venga pubblicato per la prima volta, sulle pagine de La Lapa, periodico di Rieti.
Gli anni Sessanta e Settanta consacrarono poi il canto come inno antifascista. “Bella ciao” risuonava nelle piazze italiane, tra manifestazioni studentesche e cortei sindacali, divenendo colonna sonora delle mobilitazioni sociali. Ma ben presto varcò i confini nazionali, trovando spazio nelle proteste in Grecia, in Turchia, in Cile durante la dittatura. Nei decenni successivi, la sua eco arrivò fino a Hong Kong, in Iran, in Ucraina: tradotta in decine di lingue, si trasformò in un patrimonio condiviso della cultura della resistenza.
Durante la pandemia di Covid-19, “Bella ciao” assunse un significato nuovo, trasformandosi in un canto di speranza e solidarietà. Dagli improvvisati cori sui balconi italiani alle piazze di città europee come Bamberg, fino alle iniziative dei pompieri britannici che la dedicarono al nostro Paese, la canzone si impose come simbolo di vicinanza e coraggio collettivo, capace di unire comunità distanti in un momento di crisi globale.
L’inno dei movimenti di protesta
Il canto non ha smesso di risuonare nei momenti cruciali delle lotte sociali contemporanee. A New York, nel 2011, gli attivisti di Occupy Wall Street lo intonarono come simbolo di opposizione al sistema finanziario globale. Due anni dopo, riecheggiava nelle manifestazioni di piazza Taksim a Istanbul contro il governo di Recep Tayyip Erdoğan. In Siria, durante la guerra civile, accompagnò la resistenza curda. In Italia, il movimento delle Sardine ne ha fatto uno degli inni più riconoscibili delle proprie piazze gremite. Nel 2019 persino i ragazzi di Fridays for Future lo rielaborarono in una versione intitolata Do it Now, pensata per le mobilitazioni sul clima.
Il successo planetario grazie a La casa di carta
La consacrazione definitiva arrivò però dal mondo della cultura pop. La serie televisiva spagnola La casa di carta ne fece il proprio emblema, utilizzandola in scene diventate iconiche. Da lì, “Bella ciao” conquistò piattaforme digitali e social network, raggiungendo soprattutto le giovani generazioni che non ne conoscevano le origini. Il brano, reinterpretato in versioni folk, rap, orchestrali o elettroniche, è oggi declinato in ogni genere musicale, testimoniando una vitalità che attraversa epoche e linguaggi.
Bella ciao, simbolo universale eppure divisivo
Oggi “Bella ciao” è un inno riconosciuto in ogni latitudine. Per molti rappresenta un patrimonio universale, capace di unire culture, storie e generazioni. Per altri, resta legata a un preciso schieramento politico, e dunque divisiva. Ciò che non è in discussione è la sua forza evocativa: pur non avendo mai accompagnato i partigiani in battaglia, continua a incarnare resistenza e protesta, adattandosi di volta in volta ai contesti e ai movimenti che scelgono di farla propria.
Dal dettaglio emerso nell’inchiesta americana alle piazze di mezzo mondo, la traiettoria di “Bella ciao” racconta la storia di un canto che, nato da un contesto locale e umile, ha saputo trasformarsi in un linguaggio universale della ribellione.






