Roma, 9 settembre 2025 – La Procura di Roma ha aperto un fascicolo per il reato di revenge porn dopo la diffusione online di video privati del conduttore televisivo Stefano De Martino. I filmati, ripresi illegalmente dal sistema di videosorveglianza di un’abitazione privata, mostrano il noto showman in atteggiamenti intimi con la sua fidanzata. Al momento, il procedimento è contro ignoti e le indagini sono affidate alla Polizia Postale.
Indagini in corso sulla diffusione dei video privati
L’inchiesta della magistratura romana si concentra sulla violazione della privacy di Stefano De Martino e della sua compagna. I video, carpiti in modo illecito, sono stati poi pubblicati sul web, configurando così il reato di revenge porn, una grave fattispecie penale che tutela le vittime dalla diffusione non autorizzata di immagini o video a contenuto sessuale.
Le autorità stanno analizzando tutte le tracce digitali per risalire agli autori del gesto, mentre si valutano le implicazioni legali e le possibili azioni a tutela della vittima. La Polizia Postale, specializzata nei reati informatici, coordina le operazioni investigative per identificare i responsabili di questa violazione.
Le difficoltà nel bloccare la diffusione e il ruolo del Garante
Guido Scorza, componente del Garante per la protezione dei dati personali, avevacommentato a Repubblica la complessità della situazione evidenziando che, nonostante siano stati adottati provvedimenti per bloccare la circolazione del materiale su tutte le piattaforme coinvolte, fermare definitivamente la diffusione del video è estremamente difficile. “È troppo tardi per impedire radicalmente la diffusione del contenuto”, ha detto Scorza, sottolineando come spesso i video vengano condivisi su app di messaggistica come Telegram o WhatsApp, dove l’intervento delle autorità è praticamente impossibile.
Il Garante ha aperto un’istruttoria per identificare i responsabili e ha messo in guardia coloro che potrebbero pensare di condividere ulteriormente il video, ricordando che tale azione costituirebbe un illecito. La provenienza delle piattaforme coinvolte, soprattutto se con sede fuori dall’Europa, potrebbe complicare ulteriormente le operazioni di contrasto.






