Verona, 5 novembre 2025 – La Procura della Repubblica di Verona ha formalmente richiesto l’archiviazione dell’indagine nei confronti dell’assistente capo coordinatore della Polizia di Stato coinvolto nella morte di Moussa Diarra, il migrante maliano ucciso con un colpo d’arma da fuoco la mattina del 20 ottobre 2024 davanti alla stazione ferroviaria di Verona Porta Nuova. Dopo oltre un anno di indagini, si è giunti alla conclusione che l’agente della Polfer avrebbe agito per legittima difesa a seguito di un’aggressione con un coltello da parte della vittima.
Le indagini e le contestazioni sulla dinamica dei fatti
Il caso, che ha acceso un dibattito acceso sulla gestione delle forze dell’ordine nei confronti delle persone migranti, è stato oggetto di un’indagine durata più di dodici mesi. Secondo la ricostruzione ufficiale, l’agente avrebbe sparato dopo essere stato aggredito da Diarra, che impugnava un coltello – descritto come un oggetto simile a una posata da cucina – in una situazione di alterazione psichica. L’episodio è avvenuto in una zona molto frequentata della stazione Porta Nuova, e le immagini raccolte dalle telecamere di sorveglianza hanno rappresentato un elemento fondamentale nell’inchiesta, anche se non esaustivo e in parte oscurato da segreto istruttorio.
L’avvocato Fabio Anselmo, difensore della famiglia Diarra, ha denunciato in più occasioni la mancanza di trasparenza e la lunga durata del segreto investigativo, che limita l’accesso agli atti e all’informazione pubblica. Anselmo ha inoltre evidenziato che la stessa Questura di Verona, che indaga sul caso, è stata recentemente coinvolta in un’inchiesta per presunti maltrattamenti e abusi da parte di alcuni agenti, aumentando così la complessità del contesto investigativo.
La storia di Moussa Diarra e il contesto sociale veronese
Moussa Diarra, 26 anni, originario del Mali, era arrivato in Italia nel 2016 dopo un lungo e difficile percorso migratorio, che includeva la detenzione e torture nei centri di detenzione libici. A Verona, Moussa aveva vissuto in condizioni di forte precarietà, con un permesso di soggiorno scaduto e difficoltà a rinnovarlo nonostante vari appuntamenti in questura. La sua vita riflette la condizione di marginalità e disgregazione che colpisce molte persone migranti in Italia, spesso intrappolate in una burocrazia complessa e in un contesto sociale difficile.
L’archiviazione della posizione dell’agente segna un punto cruciale nel caso, che rimane comunque carico di interrogativi irrisolti e di un dibattito pubblico ancora acceso su giustizia, trasparenza e diritti dei migranti in Italia.





