Roma, 20 novembre 2025 – Giandavide De Pau trascorrerà il resto della sua vita in carcere. La Corte d’Assise di Roma ha deciso oggi, nell’aula bunker di Rebibbia, di condannare all’ergastolo l’ex autista del boss Michele Senese per il triplice femminicidio avvenuto a Prati. La mattina del 17 novembre 2022, il 54enne uccise tre donne nell’arco di poche ore.
Giandavide De Pau, la ricostruzione dei femminicidi
Secondo la procura, si è trattato di un delitto cruento e premeditato, compiuto da “un serial killer lucido e violento”, capace di agire con “un livello di atrocità estrema”. Giandavide De Pau aveva pianificato tutto. Caduto dai vertici della criminalità romana ai suoi livelli più bassi, dopo due giorni trascorsi tra alcol e droga prese il telefono e iniziò una “ricerca spasmodica di donne”. Così arrivò all’interno 8 del civico 24 di via Augusto Riboty, dove si prostituivano Li Yanrong e Yang Yun Xiu, note come Lia e Sofia. Una volta entrato, attivò la videocamera per filmare il rapporto sessuale, prima di accanirsi con un coltello sulle due donne. Il cellulare continuava a registrare le immagini del duplice omicidio.
Ancora sporco di sangue, De Pau si spostò nell’appartamento di un’altra donna, a 300 metri di distanza. “Si reca in via Durazzo ed entra nell’appartamento della Castano Torres – si legge negli atti – dove la donna viene uccisa con le stesse modalità degli omicidi commessi poco prima”.
Dopo circa un quarto d’ora si allontanò, facendo perdere le sue tracce per due giorni. In quel periodo trovò ospitalità presso altre due prostitute e chiese a una di loro di recarsi dalla sorella per procurargli documenti, carta di credito e denaro, con l’intento evidente di fuggire.
I modeli del serial killer
Per questo triplice omicidio Giandavide De Pau aveva dei modelli di riferimento. “Voglio costruire il meccanismo del dottor Szell”, diceva al telefono, richiamando il criminale nazista del film Il maratoneta. Un personaggio che uccide in modo rapido e brutale con un coltello retrattile.
Non solo: nel luglio 2022, confessava a un amico, soprannominato Dobermann, di voler “fare come Donato Bilancia”, sostenendo che almeno avrebbe avuto “qualcosa per cui riposare”. E così è stato: ha seguito le orme del serial killer condannato a 13 ergastoli per 17 omicidi tra Liguria e Piemonte, alcuni ai danni di prostitute.
La sorella, però, lo denunciò ai carabinieri, che lo arrestarono. Le successive indagini, il processo e le perizie di un pool di dodici esperti confermarono la sua capacità di intendere e di volere, permettendo così di giudicarlo. Oggi è arrivata la sentenza: ergastolo per il serial killer di Prati.






