Si è concluso oggi il processo di primo grado per il caso di stupro di gruppo avvenuto nella notte tra il 16 e il 17 luglio 2019 a Porto Cervo, rinomata località della Costa Smeralda in Sardegna. Il Tribunale di Tempio Pausania ha emesso la sentenza per Ciro Grillo, figlio del fondatore del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo, e i suoi tre amici, tutti condannati per violenza sessuale di gruppo ai danni di due giovani donne.
Le condanne e le pene inflitte a Ciro Grillo e gli amici
Dopo oltre tre anni di dibattimento, il collegio giudicante, presieduto dal giudice Marco Contu, ha stabilito pene comprese tra i 6 anni e 6 mesi e gli 8 anni di reclusione. In particolare, sono stati condannati a 8 anni di carcere Ciro Grillo, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria, mentre Francesco Corsiglia ha ricevuto una pena di 6 anni e 6 mesi. Quest’ultimo, pur condannato per stupro di gruppo, è stato assolto dall’accusa di diffusione di immagini sessuali senza consenso, relative a una delle presunte vittime.
Il collegio ha riconosciuto ai quattro imputati le attenuanti generiche e disposto una provvisionale di 10mila euro per Ciro Grillo, Capitta e Lauria e di 5mila euro per Corsiglia da liquidare alle parti civili. Le richieste del pubblico ministero, Gregorio Capasso, erano state di 9 anni per tutti gli imputati.
Il racconto del processo e le assenze in aula
Nessuno dei quattro imputati era presente in aula al momento della sentenza, così come la principale accusatrice, la studentessa italo-norvegese che aveva denunciato i fatti poco dopo l’estate del 2019. Secondo l’accusa, la giovane era in stato di inferiorità psicofisica a causa dell’alcol consumato durante la serata trascorsa in discoteca e nella villetta di proprietà della famiglia Grillo a Porto Cervo, quando si sarebbe consumata la violenza.
Nel corso del processo il procuratore Capasso ha sottolineato come la versione degli imputati risultasse incompatibile con la logica e con le risultanze investigative, evidenziando che uno degli episodi di violenza sarebbe avvenuto mentre una delle due giovani dormiva, escludendo quindi la possibilità di un consenso.
Le difese avevano invece sostenuto la tesi di un rapporto consenziente, negando la credibilità della ricostruzione della presunta vittima. Gli avvocati hanno chiesto l’assoluzione con formula piena, ma la sentenza ha ribadito la responsabilità degli imputati.






