Milano, 3 dicembre 2025 – È stata la stessa maschera licenziata dal Teatro alla Scala di Milano a rompere il silenzio sulla vicenda, intervenendo oggi al Cam Garibaldi durante l’iniziativa “Diritti sul lavoro, libertà di parola: Il caso Palestina”, promossa dal sindacato Cub. La protesta, che aveva avuto risonanza nazionale, nasce dal suo gesto di dissenso espresso il 4 maggio scorso, quando prima di un concerto alla presenza della premier Giorgia Meloni aveva gridato “Palestina libera”.
La vittoria legale e il significato politico della protesta

La notizia della settimana scorsa ha confermato che il Teatro alla Scala è stato condannato a risarcire la maschera per il licenziamento subito a seguito di quella manifestazione. La sentenza prevede il pagamento delle mensilità residue fino alla scadenza del contratto. La stessa protagonista ha definito tale esito “una vittoria politica importante”, sottolineando come essa rappresenti un precedente rilevante contro le pratiche di repressione, ricatto e paura utilizzate per zittire le voci di protesta.
Nel suo intervento, la maschera ha rimarcato: “La battaglia legale è stata un prolungamento dell’azione di quella sera e dimostra che non si può cancellare la protesta per la Palestina”. Si tratta dunque di un successo collettivo, che va oltre la singola persona, e che dà impulso a eventuali lotte future a tutela della libertà di espressione sul luogo di lavoro.
Il doppio standard della Scala e le connessioni con investimenti controversi
Un elemento cruciale emerso durante l’incontro riguarda il cosiddetto doppio standard adottato dal Teatro alla Scala. La maschera ha evidenziato come la fondazione milanese abbia promosso numerose iniziative di beneficenza e gesti politici forti a sostegno dell’Ucraina, inclusa la rottura di collaborazioni con direttori d’orchestra per le loro posizioni politiche. Al contrario, per la causa palestinese, secondo la sua testimonianza, non è stato compiuto alcun atto simile.
Questa disparità, ha spiegato, non è casuale, ma legata ai rapporti della Scala con importanti istituti bancari come Intesa Sanpaolo, Allianz e Crédit Agricole, i quali detengono investimenti in settori collegati al colonialismo e all’industria bellica. Tali collaborazioni sarebbero alla base di una posizione più cauta e meno impegnata rispetto alla questione palestinese.
Il Teatro alla Scala, fondato nel 1778 e considerato uno dei più prestigiosi teatri d’opera al mondo, continua ad essere un punto di riferimento nella scena culturale milanese e internazionale, ospitando spettacoli di opera, balletto e concerti con una capienza di circa 2.030 posti. La vicenda della maschera ha portato al centro del dibattito non solo la libertà di espressione sul luogo di lavoro, ma anche le implicazioni politiche e finanziarie che possono influenzare le scelte culturali e sociali di un’istituzione così rilevante.
Fonte: Roberto Smaldore - Milano, parla la maschera licenziata dalla Scala: "Non si può zittire la protesta"






