Sono trascorsi quarant’anni da uno degli episodi più drammatici e determinanti nella storia moderna del vino italiano: lo scandalo del vino al metanolo. Nel dicembre 1985, circa due tonnellate e mezzo di metanolo venivano impiegate in diverse cantine italiane per adulterare vini da tavola, con conseguenze tragiche che portarono alla morte di 23 persone e all’intossicazione di oltre 150, tra cui 15 rimasero cieche. Questo evento segnò un punto di svolta nel settore vitivinicolo nazionale, aprendo la strada a una svolta normativa e culturale che ha profondamente trasformato l’immagine e la qualità del vino italiano.
Il contesto storico e sociale del vino italiano negli anni ’80
Nel 1985, l’Italia viveva un momento di grande fermento culturale e sociale. La musica di nicchia, come quella degli Arcadia — spin-off dei Duran Duran — dominava le classifiche, mentre la Juventus era in testa alla Serie A, preludio a una stagione di successo. Politicamente, Bettino Craxi guidava il primo governo socialista dopo la fine del mandato presidenziale di Sandro Pertini, che lasciò il posto a Francesco Cossiga. Nel mondo della moda, l’Italia celebrava il Made in Italy con stilisti di fama internazionale come Versace, Armani e Missoni.
Tuttavia, nel settore del vino, la situazione era ben diversa. La legge 116/1963 aveva introdotto per la prima volta un sistema normativo organico per il vino italiano, definendo aree di produzione e Denominazioni di Origine Controllata (DOC). Nonostante ciò, il vino italiano era ancora largamente un prodotto da autoconsumo o destinato a mercati locali, spesso con pratiche produttive artigianali e correzioni chimiche di dubbia qualità.
Il cambiamento demografico e sociale, con la fine della mezzadria e l’abbandono dei vigneti da parte dei contadini, contribuì a una crisi di qualità con vini da tavola che venivano corretti con sostanze come zucchero o mosto concentrato. Il professor Attilio Scienza ha evidenziato come questa fase fosse caratterizzata da una produzione spesso improvvisata, con controlli limitati e un sistema di vigilanza non adeguato.
La legge 408/1984 e la detassazione del metanolo: la miccia dello scandalo
Un elemento chiave nella genesi dello scandalo fu la Legge 28 luglio 1984 n. 408, che modificò il regime fiscale sugli alcoli, sottraendo il metanolo all’imposta di fabbricazione. Questa detassazione ne abbatté drasticamente il costo, facendo scendere il prezzo da 5.000 a 500 lire al litro, e ridusse i controlli da parte delle autorità competenti. Il metanolo divenne così più conveniente dello zucchero per aumentare artificialmente la gradazione alcolica del vino, una pratica illegale ma largamente diffusa in quegli anni.
Il metanolo, a differenza dell’etanolo, è altamente tossico: una piccola quantità può causare danni neurologici permanenti e cecità, come avvenne nel caso delle vittime di questo scandalo. La somiglianza visiva e organolettica tra metanolo ed etanolo facilitò la sofisticazione, ma le conseguenze furono devastanti.
L’indagine e le responsabilità emerse
Le indagini della primavera 1986 portarono alla luce una rete complessa di produttori, imbottigliatori e distributori coinvolti nella sofisticazione dei vini. Al centro della vicenda si trovò la ditta Ciravegna Giovanni di Narzole, che utilizzava quantitativi significativi di metanolo per incrementare la gradazione alcolica di vini di pessima qualità. Accanto a loro, la ditta Odore Vincenzo di Incisa Scapaccino svolgeva un ruolo cruciale nella distribuzione, contribuendo alla diffusione capillare del vino adulterato su tutto il territorio nazionale.
Lo scandalo si allargò anche oltre i confini italiani: nel porto francese di Sète venne sequestrata una nave cisterna proveniente da Manduria, contenente vino sospetto, a dimostrazione che la sofisticazione coinvolgeva anche il commercio all’ingrosso e l’export.
Le condanne inflitte ai responsabili furono pesanti, ma i risarcimenti alle vittime furono spesso insufficienti o inesigibili, lasciando un senso di ingiustizia. La vicenda mise a nudo le debolezze strutturali del sistema di controllo e la necessità di un profondo rinnovamento.
L’eredità normativa e culturale dello scandalo del metanolo
A pochi mesi dallo scandalo, il governo varò la legge 462/1986, che potenziò i controlli antifrode e introdusse misure più rigorose per la tutela del vino. Successivamente, la legge 164/1992 ridefinì in modo organico le denominazioni di origine, stabilendo standard più stringenti per la qualità e la tracciabilità.
Questi interventi segnarono l’inizio di un importante percorso di maturazione per il settore vitivinicolo italiano, che abbandonò gradualmente la produzione quantitativa a favore di una sempre maggiore attenzione alla qualità. Oggi, il vino italiano rappresenta un’industria da circa 14,5 miliardi di euro, con un ruolo di primo piano nel mercato globale.
Come ha sottolineato Burton Anderson, critico e storico del vino, lo scandalo del metanolo, nonostante le tragiche conseguenze, fu la “cosa migliore mai successa al vino italiano” perché accelerò un processo di rinnovamento produttivo e culturale. Un risveglio dal quale nacque un settore più trasparente, controllato e orientato all’eccellenza.
L’episodio del vino al metanolo resta una pagina dolorosa ma fondamentale della storia italiana, un monito sulle conseguenze delle scorciatoie illegali e sull’importanza di un sistema di controlli rigorosi e di una cultura della qualità che oggi caratterizza il vino italiano nel mondo.
