Lo sgombero del Leoncavallo di Milano, avvenuto dopo oltre trent’anni di occupazione, segna la fine di una stagione simbolica per l’antagonismo urbano in Italia. Quel capannone industriale trasformato in laboratorio politico e culturale era diventato un punto di riferimento non solo per la città, ma per l’intero movimento dei centri sociali. La chiusura, commentata con soddisfazione da Matteo Salvini come il tramonto di “decenni di illegalità tollerata”, ha riacceso il dibattito sul ruolo e sul futuro di questi spazi, che ancora oggi, nonostante sgomberi e pressioni politiche, continuano a esistere in tutto il Paese.
I centri sociali, dalle lotte degli anni ’70 alle città di oggi
Le prime occupazioni risalgono agli anni Settanta, quando gruppi di studenti e militanti decisero di sottrarre immobili abbandonati al degrado per trasformarli in luoghi di socialità e resistenza politica. Negli anni Ottanta e Novanta, i centri sociali sono diventati il cuore di una controcultura fatta di concerti, dibattiti, radio libere e campagne sociali. Oggi, pur avendo perso parte della spinta rivoluzionaria originaria, continuano a rappresentare un modello di autogestione capace di attrarre giovani e famiglie, soprattutto nelle periferie urbane.
Il caso romano: Forte Prenestino e Spin Time
Roma è la città che meglio testimonia la varietà di queste esperienze. Il CSOA Forte Prenestino, occupato nel 1986 in una ex struttura militare di Centocelle, è ancora oggi uno dei centri sociali più vasti d’Europa. La sua rete di gallerie e spazi sotterranei ospita concerti, rassegne artistiche e iniziative politiche, diventando un punto d’incontro per generazioni diverse. A pochi chilometri, lo Spin Time ha invece assunto un volto più sociale che politico: nato nel 2013 in un palazzo occupato all’Esquilino, accoglie circa 500 persone e organizza attività per bambini e corsi di formazione. Nel 2019 è balzato alle cronache quando il cardinale Konrad Krajewski, elemosiniere del Papa, riattaccò l’elettricità staccata all’edificio, gesto che trasformò l’occupazione in un caso nazionale.
Torino, tra militanza e memoria punk
Anche Torino conserva una tradizione radicata. L’Askatasuna, nato nel 1996, è considerato il centro nevralgico dell’area antagonista piemontese e negli ultimi anni ha cercato un dialogo istituzionale, ottenendo dal Comune il riconoscimento di “bene comune”. Ma la città ospita anche esperienze storiche come El Paso Occupato, attivo dal 1987 e legato alla scena punk internazionale: negli anni ha visto esibirsi band come Fugazi e Youth of Today, mantenendo viva una memoria culturale che va oltre l’impegno politico.
I centri sociali a Padova e a Bologna
In Veneto, il Pedro di Padova – fondato nel 1987 e intitolato al militante Pietro Maria Greco – resta un pilastro dell’autogestione. A Bologna, invece, il centro Làbas ha dovuto reinventarsi dopo lo sgombero del 2017 dalla sua sede originaria, un’ex caserma. Oggi continua le sue attività in vicolo Bolognetti, grazie a un accordo con il Comune che ha però sollevato polemiche da parte delle opposizioni, contrarie a ogni forma di “istituzionalizzazione” delle occupazioni.
Le occupazioni di destra: una storia parallela
Se per decenni i centri sociali sono stati quasi esclusivamente espressione della sinistra antagonista, dagli anni Novanta sono nati anche i centri sociali di destra. Diversi per stile e contenuti, puntano sull’identità e sulla comunità. In genere si dividono in due categorie: gli Osa (occupazioni a scopo abitativo) e gli Onc (occupazioni non conformi), con attività culturali, sportive e associative.
CasaPound e le sue diramazioni
Il caso più noto resta CasaPound, che dal 2003 occupa un ex edificio governativo in via Napoleone III, a Roma. La palazzina è diventata il simbolo del movimento e la sua presenza, nonostante procedimenti giudiziari per occupazione abusiva e istigazione all’odio razziale, continua a rappresentare un nervo scoperto della politica italiana. Accanto a essa sono nati altri spazi: una palazzina a Montesacro destinata a famiglie italiane in difficoltà, iniziative simili a Latina e Catania, fino a realtà più sperimentali come CasaMontag, dedicata a eventi culturali.
Una geografia in evoluzione
Oggi in Italia si contano oltre duecento centri sociali, ma il loro futuro resta incerto. Alcuni hanno trovato forme di dialogo con le istituzioni, trasformandosi in spazi semi-legali e integrati nelle politiche cittadine. Altri vivono costantemente sotto la minaccia di sgomberi. La vicenda del Leoncavallo ricorda che nessuna occupazione è eterna, ma allo stesso tempo dimostra come questi luoghi, nati da un gesto di rottura, siano stati capaci di segnare la storia culturale e politica del Paese.






