La Corte ha riconosciuto che spetta al legislatore stabilire, entro limiti di ragionevolezza e proporzionalità, a quali categorie di reato possano applicarsi le pene sostitutive
Roma, 29 luglio 2025 – La Corte costituzionale ha confermato la legittimità dell’esclusione delle pene sostitutive per i condannati per reati ostativi, ribadendo però l’obbligo di garantire condizioni detentive che rispettino i principi di rieducazione e umanità sanciti dalla Costituzione.
La sentenza della Consulta: prerogative del legislatore e diritti dei detenuti
Con la sentenza n. 139 depositata oggi, la Consulta ha affrontato il tema delicato dell’applicazione delle pene sostitutive nei confronti di persone condannate per reati ostativi, cioè quei reati indicati dall’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario che escludono l’accesso a misure alternative alla detenzione e ai cosiddetti benefici penitenziari.
La Corte ha riconosciuto che spetta al legislatore stabilire, entro limiti di ragionevolezza e proporzionalità, a quali categorie di reato possano applicarsi le pene sostitutive. In particolare, la riforma Cartabia ha previsto che i condannati per reati ostativi non possano beneficiare di tali pene. Questa scelta normativa non è stata ritenuta illegittima, ma deve essere accompagnata da un’attenta tutela dei diritti dei detenuti.
Infatti, la sentenza sottolinea che anche per chi è condannato per reati ostativi la pena detentiva deve essere eseguita in condizioni che favoriscano un percorso di recupero e rieducazione. Tuttavia, la Consulta ha evidenziato le difficoltà attuali nel sistema carcerario italiano, dove il sovraffollamento rende arduo il perseguimento delle finalità rieducative e la garanzia di standard minimi di umanità della pena.
Le questioni sollevate dai giudici fiorentini e il contesto normativo
La pronuncia della Corte costituzionale arriva dopo che una giudice per l’udienza preliminare e la Corte d’appello di Firenze avevano sollevato dubbi di legittimità costituzionale sull’articolo 59 della legge n. 689 del 1981, così come modificato dalla riforma Cartabia. Il nodo centrale riguardava la preclusione assoluta delle pene sostitutive per reati ostativi, applicata in casi concreti di violenza sessuale e pornografia minorile, con pene inferiori ai quattro anni di reclusione.
Secondo i giudici fiorentini, il divieto assoluto poteva violare i principi di uguaglianza, ragionevolezza e il finalismo rieducativo della pena. Tali questioni sono state però respinte dalla Consulta, che ha ribadito la discrezionalità legislativa nel definire i limiti di applicazione delle misure alternative alla detenzione.






