I pm contestano l’interpretazione giuridica del tribunale. Salvini: “Difendere i confini non è un reato”. Meloni e Piantedosi al suo fianco
La Procura di Palermo ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione contro la sentenza che, lo scorso 20 dicembre, ha assolto Matteo Salvini dalle accuse di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio per il caso Open Arms. Il procedimento riguardava i fatti dell’agosto 2019, quando l’allora ministro dell’Interno impedì lo sbarco di 147 migranti soccorsi nel Mediterraneo dalla nave della ONG spagnola, trattenendoli a bordo per diversi giorni.
I pubblici ministeri hanno scelto la strada del ricorso per saltum, una procedura straordinaria che consente di passare direttamente alla Corte di legittimità evitando l’appello. Al centro della contestazione c’è la motivazione depositata dal tribunale di Palermo, secondo cui l’Italia non aveva un obbligo giuridico a concedere un porto sicuro alla nave straniera. Una lettura che, secondo la Procura, travisa le normative e le convenzioni internazionali in materia di soccorso marittimo.
I magistrati non mettono in discussione l’accertamento dei fatti – che ritengono confermati anche dalla sentenza di assoluzione – ma criticano l’interpretazione giuridica con cui i giudici di primo grado hanno ritenuto insussistenti gli estremi di reato. Da qui la decisione di ricorrere direttamente in Cassazione, giudicata dai pm più efficace rispetto a un nuovo passaggio in appello.
Le reazioni: Salvini difende la sua scelta, Meloni e Piantedosi lo sostengono
Il primo a commentare la notizia del ricorso è stato lo stesso Matteo Salvini, oggi vicepresidente del Consiglio e ministro delle Infrastrutture. “Ho fatto più di trenta udienze, il tribunale mi ha assolto perché il fatto non sussiste, riconoscendo che difendere i confini non è un reato. Evidentemente qualcuno non si rassegna, andiamo avanti: non mi preoccupo”, ha dichiarato, rilanciando anche sui social il suo messaggio: “Difendere l’Italia e i suoi confini non è un reato”.
Solidarietà è arrivata anche dalla premier Giorgia Meloni, che ha definito “surreale” l’accanimento giudiziario nei confronti di un ministro “che voleva far rispettare la legge”. “Mi chiedo – ha aggiunto – cosa pensino gli italiani di tutte queste energie e risorse spese così, mentre migliaia di cittadini onesti attendono giustizia”.
Dello stesso tenore le parole del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, all’epoca dei fatti capo di gabinetto del Viminale. “Mi dispiace molto per questa notizia. Umanamente e professionalmente mi colpisce. Rivendico l’azione che fu fatta per contrastare l’immigrazione illegale, che non è poi così diversa dalle mafie”, ha affermato, dichiarandosi “moralmente imputabile anche io”.
Open Arms: “Fatti accertati, fiducia nella Procura”
Di segno opposto la reazione di Oscar Camps, fondatore della ONG Open Arms. In una nota, ha ricordato che “i fatti sono stati ampiamente ricostruiti in primo grado” e ha espresso piena fiducia nell’azione della Procura di Palermo. L’organizzazione continua a sostenere che i 147 naufraghi soccorsi nel 2019 furono vittime di una violazione del diritto internazionale e che il comportamento dell’allora ministro rappresentò un abuso di potere a danno di persone in stato di bisogno.
La parola ora passa alla Cassazione, chiamata a esprimersi in via definitiva su uno dei casi più simbolici del dibattito italiano e europeo sull’immigrazione e sui limiti dell’azione politica in tema di soccorso in mare.






