Palermo, 13 novembre 2025 – Il Tribunale del Riesame di Palermo ha confermato la misura degli arresti domiciliari per Filippo Piritore, ex funzionario della Squadra Mobile di Palermo e ex prefetto, indagato per il depistaggio nelle indagini sull’omicidio di Piersanti Mattarella, ex presidente della Regione Siciliana assassinato nel 1980. La decisione è giunta dopo il rigetto della richiesta di revoca presentata dalla difesa.
Omicidio Mattarella: il caso del guanto sparito
Al centro dell’inchiesta vi è un elemento fondamentale: un guanto in pelle, ritrovato a bordo della Fiat 127 utilizzata dai killer la mattina del delitto, mai repertato né sequestrato ufficialmente e poi misteriosamente scomparso. Nel corso delle indagini, Piritore è stato sentito dai pubblici ministeri riguardo al reperto, ma secondo la Procura di Palermo le sue dichiarazioni sono risultate “del tutto prive di riscontro”. L’ex funzionario avrebbe contribuito a sviare le indagini, ostacolando il rinvenimento del guanto, che non è mai stato recuperato.
Secondo i magistrati, l’inquinamento delle indagini è stato determinato da appartenenti alle istituzioni che avrebbero sottratto dal fascicolo probatorio questo reperto chiave, compromettendo la possibilità di identificare i responsabili dell’omicidio Mattarella.
Le contraddizioni nelle versioni di Piritore
Nel corso degli interrogatori, Piritore ha fornito versioni contrastanti circa la catena di custodia del guanto. Inizialmente dichiarò di aver affidato il guanto all’agente della Polizia Scientifica Giuseppe Di Natale, con l’intento che fosse consegnato al sostituto procuratore Pietro Grasso, titolare dell’indagine all’epoca. Successivamente, secondo la sua ricostruzione, il reperto sarebbe stato restituito alla Scientifica per ulteriori accertamenti tramite un altro agente, Lauricella, figura inesistente secondo gli accertamenti. Le testimonianze di Grasso e Di Natale contraddicono categoricamente queste affermazioni.
L’indagine ha inoltre evidenziato che Piritore, sin dal momento del ritrovamento del guanto, avrebbe posto in essere azioni che hanno fatto disperdere ogni traccia del reperto, in violazione delle procedure di repertazione e sequestro allora vigenti.
Il tribunale ha sottolineato che la pervicacia dimostrata dall’ex prefetto nel depistaggio configura un concreto rischio di reiterazione del reato, motivo per cui gli arresti domiciliari sono stati ritenuti indispensabili.
L’inchiesta riapre un capitolo oscuro della storia giudiziaria italiana, segnato da depistaggi e misteriose sparizioni di prove nella lotta contro la mafia e i delitti politici.






