Muggia, 14 novembre 2025 – Nel luglio 2018 Olena Stasiuk aveva pronunciato parole che oggi suonano come un inquietante presagio. Quando i servizi sociali le comunicarono che si stava valutando l’affido esclusivo del piccolo Giovanni al padre, la donna dichiarò di essere pronta a togliere la vita al bambino, a sé stessa e anche all’ex compagno. Quelle frasi, riportate in un verbale dell’epoca, sono state ricordate dall’avvocata del padre, Gigliola Bridda, in un’intervista a SkyTg24.
Le paure del padre rimaste inascoltate
Già allora il papà del bambino aveva espresso forte preoccupazione per la sicurezza del figlio. Nei documenti raccolti nel 2018, l’uomo raccontava di temere che la ex moglie potesse arrivare a gesti estremi, facendo riferimento a episodi avvenuti in casa negli anni precedenti. Nonostante i ripetuti allarmi, la sua angoscia venne spesso interpretata come un’eccessiva apprensione.
Le crisi del passato e la fuga dalle cure
Secondo quanto riferito dalla legale, nel 2017 la donna aveva attraversato un periodo di grave instabilità psicologica, al punto da essere curata con un farmaco somministrabile solo presso un Centro di salute mentale. Successivamente però aveva interrotto la terapia, sottraendosi ai percorsi previsti. Nonostante questo precedente, negli ultimi tempi la madre appariva regolare agli appuntamenti con i servizi sociali e non mostrava segnali evidenti di sofferenza, circostanza che potrebbe aver attenuato l’attenzione sulle sue condizioni.
Le segnalazioni al Tribunale civile
Nel corso degli anni il padre, tramite la sua avvocata, aveva continuato a raccogliere elementi da portare all’attenzione del Tribunale civile di Trieste, sollevando dubbi sulla stabilità della donna. Nonostante ciò, nessuna perizia psichiatrica venne mai disposta. Le tensioni fra i due genitori erano sfociate in numerosi contenziosi, ma la madre non aveva più fatto registrare episodi critici tali da far scattare interventi più incisivi.
Le visite protette e il cambio di regime
La situazione si era però complicata nel 2023: a seguito di un episodio in cui la donna avrebbe stretto le mani al collo del figlio, e di un’altra situazione considerata violenta, la giudice stabilì che gli incontri dovessero avvenire esclusivamente in modalità protetta. Nei mesi successivi, gli specialisti coinvolti nel caso lavorarono per ridefinire il percorso di frequentazione, valutando l’interesse del minore e il rapporto con entrambi i genitori.
La decisione del 2025 e la fiducia alla madre
Nell’aprile 2025 la psicologa incaricata, Erika Jakovcic, consigliò che il bambino vivesse con il padre, prevedendo però un incremento graduale degli incontri con la madre, anche senza la presenza costante di operatori. Una linea che puntava a preservare la relazione madre-figlio all’interno di un contesto più controllato. Il tribunale, seguendo questa impostazione, concesse alla donna una visita settimanale da sola, fissata il mercoledì pomeriggio.
Una scelta che, secondo l’avvocata del padre, nasceva dal desiderio di non privare Giovanni del legame materno. Tuttavia, oggi quello stesso equilibrio appare drammaticamente fragile.
L’assenza di una perizia mai disposta
A distanza di anni, resta aperta la domanda su ciò che avrebbe potuto prevenire la tragedia. La legale del padre sottolinea come fosse stata richiesta una valutazione psichiatrica approfondita, mai autorizzata dal Tribunale. Una mancanza che oggi pesa, anche alla luce delle dichiarazioni del passato e degli episodi segnalati nel corso del tempo.
Aattesa relazione del ministero sulla decisione del tribunale
Nei prossimi giorni agli uffici del ministero della Giustizia potrebbe arrivare una relazione relativa alla decisione del tribunale civile di Trieste del 13 maggio scorso. In quell’occasione, Olena Stasiuk aveva ottenuto il permesso di vedere il figlio di nove anni una volta alla settimana.
Stasiuk è accusata di aver ucciso il bambino ieri, durante uno dei primi incontri da sola con lui, recidendogli la gola. L’episodio ha portato all’arresto immediato della donna.
La relazione ministeriale, come previsto dalla prassi, potrebbe chiarire le ragioni che portarono i giudici a concedere tale permesso, approfondendo le valutazioni sul contesto familiare e sui presupposti del Tribunale di Trieste.


