Sono state confermate le condanne a Francesco Bidognetti e Michele Santonastaso per le minacce rivolte a Roberto Saviano e Rosaria Capacchione nel 2008
La Corte d’Appello di Roma ha confermato le condanne per le minacce rivolte a Roberto Saviano nel 2008, durante il processo di secondo grado “Spartacus” a Napoli. I giudici hanno ribadito la sentenza di primo grado che riconosceva la sussistenza di minacce aggravate dal metodo mafioso, infliggendo un anno e sei mesi di carcere al boss del clan dei Casalesi, Francesco Bidognetti, e un anno e due mesi all’avvocato Michele Santonastaso, accusato di aver veicolato in aula le intimidazioni. Alla lettura della sentenza, Saviano si è commosso, abbracciando il suo legale Antonio Nobile, mentre dall’aula è partito un applauso.
La sentenza e le parole di Saviano
Dopo sedici anni di processo, Roberto Saviano ha definito la vicenda una sconfitta personale: “Mi hanno rubato la vita”. Le condanne confermate rappresentano però una prova ufficiale che la camorra teme l’informazione. Saviano ha sottolineato come per la prima volta in un’aula di tribunale in Italia un boss, tramite il suo avvocato, abbia cercato di ribaltare la narrazione dei fatti, puntando il dito contro i giornalisti, indicandoli come i responsabili delle condanne mafiose. Nel documento contestato, firmato anche da Bidognetti, si sosteneva che i giornalisti, tra cui lo stesso Saviano e la collega Rosaria Capacchione, fossero “colpevoli” degli esiti giudiziari contro la criminalità organizzata.
Lo scrittore ha inoltre evidenziato il doppio volto del boss: “Lo vedrò in video, identico nella sua maschera, con mani curatissime e in tuta, un dettaglio che racconta la statura da boss sotto il regime del 41 bis”. Saviano ha descritto il lungo calvario di anni trascorsi “in un limbo, né vivo né morto”, sottolineando come il potere militare del clan sia in crisi, ma non il capitalismo mafioso, che continua a prosperare nell’ombra e nel silenzio pubblico.
Processo “Spartacus” e il contesto delle minacce
Il processo “Spartacus” ha rappresentato un momento cruciale nella lotta alla camorra dei Casalesi. Nel 2008, il primo troncone del procedimento aveva portato a 16 ergastoli per i boss, tra cui Bidognetti, e a pene minori per gli affiliati, dopo dieci anni di indagini e con 500 testimoni. Le minacce a Saviano e Capacchione avvennero proprio durante il processo di appello, quando il clan tentò di delegittimare l’informazione antimafia, accusando i giornalisti di essere strumenti della magistratura.
Nel procedimento, la Federazione Nazionale Stampa Italiana (Fnsi) e l’Ordine dei Giornalisti si sono costituiti parte civile, a tutela della libertà di stampa e del diritto all’informazione. La conferma delle condanne oggi rappresenta un segnale importante contro le intimidazioni ai cronisti che si occupano di criminalità organizzata, anche se per Saviano il prezzo personale pagato è stato altissimo: “L’informazione ha fatto paura, ma chi l’ha portata avanti ne è uscito spezzato”.






