Milano, 20 settembre 2025 – Centinaia di manifestanti si sono radunati oggi pomeriggio in Piazza Tricolore a Milano per protestare contro i Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr), chiedendone la chiusura definitiva. Il corteo si è concluso davanti al Cpr di via Corelli, dove è stata posizionata la statua di “Marco Cavallo”, simbolo storico della lotta per i diritti e la chiusura dei manicomi, oggi rilanciata come icona di sensibilizzazione sociale contro le violazioni commesse nei Cpr.
“Basta violazioni e illegalità” negli Cpr

Durante la manifestazione sono stati esposti cartelli con la scritta “No Cpr, no lager di Stato”, accompagnati da testimonianze e denunce sulle condizioni disumane all’interno di queste strutture. Anna Camposampiarro, organizzatrice dell’evento e rappresentante del Forum Salute mentale, ha denunciato che nei Cpr le persone sono private della libertà per lunghi periodi senza aver commesso reati, spesso sottoposte a trattamenti sanitari forzati con psicofarmaci ad alto dosaggio e vittime di violenze da parte delle forze dell’ordine. “I Cpr devono essere chiusi tutti: in Italia, in Albania, in Europa”, ha affermato con fermezza.
Anche Carla Ferrari Aggradi, altra organizzatrice, ha sottolineato come i Cpr rappresentino un’ingiustizia e una gravissima illegalità, ospitando persone senza documenti, cioè soggetti ad un’infrazione amministrativa e non a un reato penale. Nel corso del corteo è stata inoltre condivisa la tragica vicenda di Moussa Balde, 23enne guineano morto nel 2021 nel Cpr di Torino, la cui famiglia ha partecipato alla manifestazione per chiedere giustizia.
Il dramma del Cpr di Torino: il processo per la morte di Moussa Balde
Il caso di Moussa Balde ha riportato all’attenzione pubblica le condizioni critiche di molte strutture italiane dedicate al trattenimento degli immigrati irregolari. Balde si è suicidato nel maggio 2021 nel cosiddetto “ospedaletto” del Cpr di Corso Brunelleschi a Torino, una zona di isolamento recentemente chiusa dopo numerose denunce di violazioni e abusi.
Il processo aperto a Torino vede imputati per omicidio colposo la direttrice e il medico responsabili della struttura, mentre sono state archiviate le accuse di sequestro di persona contro altri funzionari. Gianluca Vitale, legale della famiglia Balde, ha definito il procedimento “importante ma parziale”, denunciando la mancanza di indagini approfondite sulla gestione istituzionale del centro.
Le condizioni disumane del Cpr di Torino erano già state documentate nel 2016 da Medici per i diritti umani, che aveva definito l’ospedaletto come una serie di “gabbie pollaio” utilizzate come luoghi di isolamento punitivo per i trattenuti. Oltre a Moussa Balde, nel centro sono morti altri detenuti in circostanze analoghe, come Hossain Faisal nel 2019 e Hassan Nejl nel 2008.
L’episodio di Balde e le proteste odierne a Milano si inseriscono in un più ampio dibattito sulle politiche di accoglienza e detenzione dei migranti in Italia, con voci che chiedono un ritorno all’accoglienza diffusa e il superamento di strutture che, come i Cpr, sono considerate violazioni dei diritti umani fondamentali.

