Genova, 25 settembre 2025 – Un uomo ligure di 79 anni, affetto da una grave malattia neurodegenerativa, ha deciso di porre fine alle sue sofferenze in Svizzera, dopo un lungo e difficile iter avviato in Italia senza risposta. La vicenda è stata raccontata da Marco Cappato, attivista e politico, noto per il suo impegno nel campo del fine vita e dell’eutanasia legale.
Il viaggio verso la Svizzera per il suicidio assistito
«Sto andando verso una liberazione», ha scritto l’uomo – che ha scelto di mantenere l’anonimato chiamandosi “Fabrizio” – utilizzando il pollice sul tablet, all’inizio del viaggio che lo ha portato a percorrere oltre 500 chilometri fino a Zurigo. Immobilizzato, dipendente da terzi per ogni necessità, e collegato di notte a una macchina per l’ossigeno, “Fabrizio” aveva richiesto in febbraio l’accesso al suicidio assistito al sistema sanitario ligure ma, dopo una visita a luglio, non ha ricevuto alcuna risposta.
Di fronte a questa situazione, a settembre ha deciso di rivolgersi alla Svizzera, dove la legge consente il suicidio assistito in casi come il suo. Ad accompagnarlo sono state due volontarie di “Soccorso Civile”, Roberta Pelletta e Cinzia Fornero, insieme a Cappato, che ha denunciato come lo Stato italiano lo abbia costretto a un “calvario” di oltre dieci ore.
Le condizioni per il suicidio assistito in Italia e la battaglia di Marco Cappato
Marco Cappato ha ricordato che, secondo la recente sentenza della Corte Costituzionale italiana, per accedere al suicidio assistito il richiedente deve essere “capace di autodeterminarsi”, affetto da una “patologia irreversibile” che provochi “sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili” e deve essere “dipendente da trattamenti di sostegno vitale”. Al momento, però, la risposta delle istituzioni italiane resta incerta e lenta: sei persone in Liguria hanno fatto richiesta senza esito.
Cappato ha sottolineato l’importanza di approvare la proposta di legge regionale presentata dall’Associazione Luca Coscioni, che stabilirebbe tempi e procedure certe nel pieno rispetto della sentenza costituzionale, evitando che altri malati debbano affrontare simili difficoltà.
L’attivista ha precisato di assumersi la responsabilità, come atto di disobbedienza civile, di aver aiutato “Fabrizio” nel suo viaggio verso la Svizzera, insieme a un gruppo di circa cinquanta persone coinvolte nell’organizzazione di queste iniziative, affinché non si ripetano simili situazioni.





