Roma, 16 dicembre 2025 – La vicenda dell’imam Mohamed Shahin, recentemente liberato dalla Corte d’Appello di Torino, continua a suscitare ampio dibattito nel panorama politico e giudiziario italiano. Shahin, destinatario di un decreto di espulsione firmato dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, è stato trattenuto nel Centro di Permanenza per il Rimpatrio (Cpr) di Caltanissetta, ma la decisione dei giudici torinesi ha annullato tale misura, suscitando reazioni divergenti tra le istituzioni e la società civile.
La decisione della Corte d’Appello di Torino e le motivazioni dei giudici
La Corte d’Appello di Torino ha disposto la cessazione del trattenimento dell’imam Mohamed Shahin, accogliendo uno dei ricorsi presentati dai suoi legali. I giudici hanno rilevato che, nonostante alcune frasi pronunciate dall’imam durante una manifestazione pubblica a Torino – in cui definiva l’attacco del 7 ottobre 2023 un atto di “resistenza” e non una violenza –, non sussistono elementi concreti e attuali di pericolosità per lo Stato o per l’ordine pubblico. Un aspetto ribadito anche dal fatto che Shahin è residente in Italia da oltre vent’anni, è completamente incensurato e non è stato mai accusato di reati di natura terroristica.
Nel provvedimento, la Corte ha sottolineato che le affermazioni dell’imam rientrano nell’ambito della libertà di espressione garantita dagli articoli 21 della Costituzione italiana e 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu). I giudici hanno inoltre respinto l’idea che una ritrattazione delle dichiarazioni possa incidere sul giudizio di pericolosità, precisando che Shahin ha dichiarato con fermezza di essere contrario a ogni forma di violenza.
La reazione del ministro Piantedosi e le tensioni politiche
Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha espresso il proprio disappunto per la decisione della Corte d’Appello, definendo l’imam pericoloso sulla base di “segnali di vicinanza a soggetti pericolosi” e di un percorso di radicalizzazione che, a suo avviso, giustificava il provvedimento di espulsione adottato per motivi di sicurezza nazionale. Intervistato da diversi media, Piantedosi ha annunciato l’intenzione del Viminale di presentare ricorso contro la sentenza, sottolineando che la tutela della sicurezza dello Stato resta una priorità imprescindibile.
La premier Giorgia Meloni ha commentato duramente la decisione, sollevando dubbi sulla capacità dello Stato di garantire la sicurezza dei cittadini quando “ogni iniziativa in tal senso viene sistematicamente annullata da alcuni giudici”. Fratelli d’Italia e altri esponenti della maggioranza hanno definito la decisione “sconcertante” e “un grave schiaffo allo Stato”, mentre esponenti dell’opposizione e alcune organizzazioni per i diritti civili hanno accolto con favore la sentenza, interpretata come una vittoria dello Stato di diritto e della tutela delle libertà fondamentali.
Il contesto e le attività dell’imam Mohamed Shahin a Torino
Mohamed Shahin, egiziano di 46 anni, è imam della moschea di via Saluzzo nel quartiere torinese di San Salvario ed è in Italia da oltre 21 anni. Sposato e padre di due figli nati a Torino, è noto per il suo impegno nel promuovere il dialogo interreligioso e l’integrazione sociale, oltre che per la sua opera nel contrasto allo spaccio nel quartiere. Nei mesi scorsi la sua figura era finita sotto i riflettori a seguito di alcune affermazioni controverse pronunciate durante una manifestazione di solidarietà con Gaza, che avevano portato a un provvedimento di espulsione firmato dal ministro Piantedosi.
Il trasferimento di Shahin al Cpr di Caltanissetta ha scatenato proteste e mobilitazioni a Torino, con sit-in, fiaccolate e presidi organizzati da associazioni e cittadini che chiedevano la sua liberazione, sottolineando il rischio che l’imam possa essere sottoposto a tortura o detenzione in Egitto. In risposta, Shahin ha ribadito più volte di essere contrario a ogni forma di violenza e di non sostenere gruppi come Hamas, dichiarazioni confermate anche dai suoi avvocati e dalla procura di Torino, che aveva archiviato il fascicolo aperto per le frasi controverse, ritenendole espressioni di pensiero non costituenti reato.
La posizione dell’Associazione Nazionale Magistrati e il clima intorno al caso
L’Associazione Nazionale Magistrati (Anm) del Piemonte e della Valle d’Aosta ha espresso piena solidarietà ai giudici della Corte d’Appello di Torino che si sono occupati del caso Shahin, denunciando le pressioni e le campagne di “dossieraggio” sui social network nei confronti dei magistrati. La vicenda ha acceso un dibattito anche sulle modalità di bilanciamento tra sicurezza nazionale e diritti individuali, nonché sul ruolo della magistratura nel sistema democratico.
L’imam, attraverso un messaggio diffuso dai suoi legali, ha espresso gratitudine verso la sua famiglia e quanti lo hanno sostenuto durante il periodo di detenzione, auspicando di poter proseguire il proprio lavoro di integrazione e dialogo a Torino, ribadendo il proprio impegno per la pace e la convivenza civile.
La vicenda resta aperta con il Viminale che valuta il ricorso contro la decisione della Corte e con un dibattito politico e sociale acceso che mette in luce le tensioni tra sicurezza, giustizia e diritti civili in Italia.
Per approfondire: Imam Shahin scarcerato in Appello: “Nessun rischio per la sicurezza”. Viminale pensa al ricorso






