Roma, 6 novembre 2025 – La questione della ricostruzione di Gaza continua ad alimentare dibattiti e controversie a livello internazionale, soprattutto in relazione al ruolo di Israele e agli impegni finanziari che dovrebbe assumere. Recentemente, la vicenda di un giornalista italiano licenziato dall’Agenzia Nova dopo aver posto una domanda scomoda durante una conferenza stampa della Commissione europea ha riportato alla luce un tema spesso trascurato: perché i soldi per ricostruire Gaza non li mette Israele?.
Giornalista licenziato per “domanda scomoda” su Gaza
In un contesto mediatico sempre più polarizzato, il gesto del cronista Gabriele Nunziati che ha osato chiedere “Se la Russia dovrà pagare per la ricostruzione dell’Ucraina, Israele dovrà fare lo stesso per Gaza?”, ha provocato una reazione immediata e drastica: la perdita del suo lavoro. Questo episodio ha fatto emergere un nodo cruciale del dibattito politico e umanitario riguardante il conflitto israelo-palestinese e le responsabilità finanziarie nella ricostruzione post-bellica.

Il giornalista ha sollevato un interrogativo che riguarda non solo l’aspetto economico, ma anche quello etico e politico. Israele, infatti, pur essendo parte centrale del conflitto, non ha mai assunto un ruolo diretto nell’investimento per la ricostruzione di Gaza, lasciando tale onere a enti internazionali, organizzazioni umanitarie e paesi terzi.
La replica dell’Agenzia Nova
Dopo che il giornalista è stato licenziato, Fanpage ha pubblicato la replica dell’Agenzia Nova: “Il 13 ottobre scorso Gabriele Nunziati, nostro collaboratore, ha posto alla portavoce della Commissione Europea una domanda tecnicamente sbagliata. Egli ha chiesto se la Commissione Ue, ritenendo che la Russia debba pagare i danni di guerra all’Ucraina, non ritenga che anche Israele debba pagare i danni di guerra a Gaza”.
L’agenzia quindi prosegue: “Il problema è che la Russia – Paese membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e, in quanto tale, uno dei 5 massimi garanti dell’ordine mondiale – ha invaso l’Ucraina, un Paese sovrano, senza essere provocata. Israele, al contrario, ha subito un’aggressione armata. Non sorprende, quindi, che la portavoce non abbia risposto alla domanda, essendo assolutamente fuori luogo e di natura erronea. La differenza tra le posizioni di Russia ed Israele è stata più volte rappresentata al collaboratore il quale, tuttavia, non ha affatto compreso la sostanziale e formale differenza di situazioni, ed ha anzi insistito nel ritenere corretta la domanda posta, mostrandosi così ignaro dei principi fondamentali del diritto internazionale”.
La replica quindi si conclude come segue: “Quel che è peggio, il video relativo alla sua domanda è stato ripreso e rilanciato da canali Telegram nazionalisti russi e dai media legati all’Islam politico in funzione anti-europea, creando imbarazzo all’agenzia, in quanto fonte primaria attentissima alla propria indipendenza e all’oggettività delle informazioni trasmesse. È evidente che il rapporto di fiducia con il collaboratore, in questo contesto, sia venuto a cessare”.
La posizione della Commissione Ue
In seguito alla diffusione della notizia, la Commissione europea stessa ha evidenziato la sua totale estraneità alla vicenda. “La Commissione attribuisce la massima importanza alla libertà di stampa. In questo contesto, è sempre disponibile a rispondere a tutte le domande durante la conferenza stampa di mezzogiorno”, ha dichiarato la portavoce dell’esecutivo Ue Paula Pinho, interpellata sul caso. “Le domande su questa specifica decisione vanno rivolte all’Agenzia Nova”, con la quale, ha rimarcato la portavoce, la Commissione non ha avuto alcun tipo d’interlocuzione in proposito.
Il dibattito internazionale sulle responsabilità nella ricostruzione
Il ruolo di Israele nella ricostruzione di Gaza è al centro di un acceso dibattito diplomatico. Alcuni esperti sottolineano che, nonostante le tensioni politiche, un coinvolgimento diretto israeliano sarebbe fondamentale per garantire una ricostruzione efficace e duratura. Altri ritengono che tale passo sia politicamente impraticabile senza un accordo più ampio sul futuro dello status di Gaza.
Parallelamente, la comunità internazionale continua a promuovere conferenze dei donatori e iniziative multilaterali per raccogliere fondi e coordinare gli interventi, ma senza un cambiamento significativo nel ruolo di Israele, la situazione resta stazionaria.
In questo scenario complesso, le domande poste dai giornalisti assumono un valore cruciale, anche se spesso pagano un prezzo alto per la loro franchezza e autonomia. La vicenda rappresenta un campanello d’allarme su quanto sia delicato e politicizzato il tema della ricostruzione di Gaza, che non riguarda solo infrastrutture, ma anche diritti, responsabilità e verità.






