Palermo, 19 settembre 2025 – La Prima Sezione Civile della Corte d’Appello di Palermo ha confermato la condanna a carico di Massimo Giletti, noto giornalista e conduttore televisivo, per il reato di diffamazione a mezzo televisivo. La sentenza ribadisce la decisione del giudice monocratico di primo grado e condanna Giletti, in solido con la Rai, al risarcimento dei danni nei confronti dei familiari di Giuseppe Campanella.
La vicenda giudiziaria
I fatti risalgono al 15 maggio 2016, durante la trasmissione “L’Arena”, all’epoca condotta da Giletti su Rai 1. Nel corso di una puntata dedicata ai lavoratori stagionali forestali della Regione Siciliana, il conduttore aveva associato l’operaio Giuseppe Campanella, originario di Pioppo, a una famiglia mafiosa omonima, un’affermazione che si è rivelata infondata. A seguito di un intervento legale, Giletti si scusò pubblicamente ammettendo l’errore commesso.
I familiari di Campanella, assistiti dagli avvocati Salvino e Giada Caputo, Francesca Fucaloro e Anna La Corte, hanno intentato causa contro Giletti, il responsabile della trasmissione e il direttore di Rai 1. Tutti sono stati condannati a risarcire i danni, poiché Campanella e i suoi parenti sono risultati incensurati e privi di legami con la mafia. Parallelamente, Giletti e la Rai erano stati rinviati a giudizio per diffamazione aggravata presso il tribunale penale di Roma, ma il procedimento si è concluso con l’estinzione per prescrizione.
Il principio di verifica delle fonti
Il legale della famiglia Campanella, Salvino Caputo, commenta la sentenza sottolineando che la Corte d’Appello ha ribadito un principio fondamentale: “il conduttore e i vertici della rete televisiva hanno l’obbligo di una rigorosa verifica delle fonti” prima di diffondere informazioni che possano ledere la reputazione di terzi. Questo richiamo costituisce un monito per l’intero settore dell’informazione televisiva, a garanzia della correttezza e dell’affidabilità dei contenuti veicolati al pubblico.
Massimo Giletti, figura di spicco del giornalismo italiano con una carriera iniziata nel 1988 e passata attraverso Rai e LA7, torna dunque al centro di un caso giudiziario che evidenzia i delicati confini tra informazione, opinione e responsabilità legale nel mondo dei media.

