Milano, 12 giugno 2025 – Emergono nuovi dettagli sul caso dell’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto a Garlasco il 13 agosto 2007. A distanza di quasi vent’anni dal delitto, che ha visto condannato in via definitiva il fidanzato della vittima, Alberto Stasi, si arricchiscono le testimonianze e le analisi, con un documentario in uscita su Sky Tg24 e nuove indagini che continuano a far discutere.
Il racconto di Gennaro Cassese: il volto insanguinato di Chiara
In un’intervista esclusiva che andrà in onda venerdì 13 giugno alle 21 su Sky Tg24, Gennaro Cassese, ex comandante dei carabinieri di Vigevano e tra i primi a intervenire sulla scena del crimine, racconta un particolare significativo: “Stasi descrisse il volto di Chiara come pallido, quando invece era completamente sporco di sangue e coperto dai capelli”. Questo dettaglio, spiega Cassese, lo spinse a far arrivare una foto della vittima da Pavia, davanti alla quale Stasi reagì con estrema calma e freddezza. Il documentario “La verità di Garlasco – L’omicidio di Chiara Poggi”, curato da Tonia Cartolano e Diletta Giuffrida, approfondisce inoltre le criticità emerse nelle indagini: “Il caso Garlasco ha stimolato l’istituzione a migliorare l’approccio investigativo, soprattutto nella fase iniziale della scena del crimine”, afferma il generale Giampietro Lago, ex comandante del Ris di Parma, riconoscendo che “sono stati commessi errori e negligenze nella prima fase, come evidenziato dalle sentenze”.
Delitto di Garlasco, nuove indagini in corso
Nonostante la condanna a 16 anni confermata nel 2015, le indagini sul delitto non si sono mai completamente concluse. Recentemente la Procura di Pavia ha aperto un nuovo fascicolo che coinvolge Andrea Sempio, amico del fratello di Chiara, in un’inchiesta parallela. Nel frattempo, Alberto Stasi, detenuto nel carcere di Bollate, continua a scontare la pena, con concessioni di permessi premio e semilibertà ottenuti negli ultimi anni. Dalle relazioni della Sorveglianza emerge un profilo complesso: “Stasi è ossessionato dalla visione e catalogazione di materiale pornografico, anche violento, che potrebbe essere stato la molla del delitto”. Lo psicologo del carcere ha parlato di tratti di parafilia ma senza diagnosticare un vero disturbo parafilico. Inoltre, si sottolinea la scarsa empatia verso la famiglia della vittima e la mancanza di manifestazioni emotive significative.






